Il mistero delle isole Kerguelen
di Francesco Lamendola
IL FATTO:
-Maggio 1839, emisfero Sud. Nel cuore del temibile inverno australe,
alcuni uomini stanno avanzando sul terreno diseguale di una sperduta
e deserta isola di origine vulcanica (1), là dove le acque
azzurre dell'Oceano Indiano si confondono tumultuosamente con quelle
verde scuro dell'Antartico, le cui onde spazzate dai venti dominanti
dell'Ovest s'imbiancano di spuma.
Mano a mano che si allontanano dalla riva, il fragore del mare si
attenua e alla fine scompare e ogni cosa sembra stemperarsi in un'atmosfera
strana ed arcana, sotto un cielo plumbeo e uniforme. Uno spesso strato
di neve copre il terreno ed i suoni giungono attutiti dall'atmosfera
umida e fredda e dal soffice mantello candido che ricopre ogni cosa,
come se tutta la scena fosse per incanto scivolata in un'atmosfera
senza tempo. Del resto, non vi sono altri rumori che quelli prodotti
dagli insoliti visitatori: un gruppetto di ufficiali e marinai della
nave di Sua Maestà britannica Erebus, un veliero di sole 370
tonnellate e appena 26 uomini d'equipaggio, e della sua gemella, Terror.(2)
Minuscole le navi ed esiguo il loro carico umano: ciò fa apparire
ancor più opprimente, per contrasto, il grandioso ma triste
spettacolo di quella natura selvaggia cui a suo tempo è stato
imposto, non a caso, il nome eloquente di Isola della Desolazione.(3)
Nessuna fronda di verzura stormisce al soffio incessante dei venti
australi, poiché gli alberi non allignano in quei luoghi inospitali
e le uniche foreste esistenti sono quelle fossilizzate, estrema e
patetica testimonianza di un tempo remotissimo in cui il clima dell'isola
dovette essere ben più dolce e accogliente, probabilmente di
tipo sub-tropicale.(4) L'unica pianta che si avvicini in qualche misura
alle dimensioni arboree era una curiosa specie di cavolo gigante,
detto cavolo delle Kerguélen (5), che non era sfuggito alla
vigile attenzione del medico di bordo, sir John Dalton Hooker (6),
allora un giovane pressochè sconosciuto ma che più tardi
sarebbe divenuto un botanico famoso, fra i più celebri del
suo tempo. (7) Allo stesso modo, il candido manto di neve non appare
segnato dal passaggio di alcun essere vivente, poiché nessun
mammifero terrestre vive in quelle remote latitudini, né tanto
meno alcun rettile o anfibio, animali che abbisognano di un clima
decisamente più mite. (8)
Mano a mano che i visitatori ardimentosi di quel luogo enigmatico
si allontanano dalla riva del mare e si lasciano alle spalle il rumore
della risacca e la rassicurante sagoma della loro nave alla fonda
nel porto naturale (9), la ricognizione verso l'interno si trasforma
in una marcia dai contorni vagamente surreali. Il profondissimo, millenario
silenzio che avvolge ogni cosa, la quiete innaturale, indecifrabile
che sembra tutto avvolgere, la consapevolezza che forse mai piede
umano ha preceduto i loro passi danno veramente a quegli uomini la
sensazione d'esser giunti agli estremi confini del mondo. Eppure,
nonostante la intensa nota di malinconia che lo pervade, il paesaggio
reca in sé una sottile sfumatura di fascino, difficile da definire
ma nondimeno evidente; quasi una bellezza arcana e primigenia che
la Natura possente ha voluto imprimere perfino in quelle lande desolate.
Mentre alzano lo sguardo lungo le pendici del monte Ross, che spinge
la sua vetta ghiacciata a duemila metri d'altitudine (10), sotto una
densa coltre di nubi grigie, gli uomini si sentono terribilmente piccoli,
fragili, in un certo senso - direbbe Lucrezio - casuali (11): come
ospiti inattesi di uno spettacolo grandioso che non per essi era stato
allestito..
:Ecco le parole con le quali, circa un secolo dopo, un ufficiale della
Marina da guerra germanica descriverà quei luoghi e la loro
strana atmosfera: "Un ruscello gorgogliava tra sassi e ciuffi
d'erba lungo il sentiero. Intorno a noi le montagne si alzavano avvolte
dalle nubi… Una squallida desolazione regnava sui monti e nelle
valli. Eppure, per quanto triste e brullo, il paesaggio non era privo
di fascino per chi non vedeva da tanto tempo né un monte né
un pianoro e sicuramente non ne avrebbe più visti per molti
mesi." (12) Certo, le cose sarebbero state molto diverse se l'Erebuse
la sua gemella, il Terror fossero approdate laggiù qualche
mese prima: durante l'estate antartica, le pianure s'ingentiliscono
grazie ai vivaci colori di numerose piante fiorite, come Azorella,
Pringlea e Festuca (13), mentre l'aria risuona dei richiami incessanti
di migliaia e migliaia di uccelli migratori venuti di lontano, primo
fra tutti l'albatro gigante. (14) Ma ora tutto appare deserto, abbandonato,
come avvolto da un'atmosfera senza tempo: e sembra che l'aria fredda
e umida, il cielo basso e la terra silenziosa siano sospesi, in attesa
di qualcosa.
Ed ecco che il comandante di quel piccolo drappello, il trentanovenne
sir James Clark Ross, si arresta improvvisamente senza poter trattenere
un fortissimo moto di stupore, mentre uno sguardo di meraviglia e
d'incredulità passa dai suoi occhi a quelli dei suoi compagni,
l'uno dopo l'altro. Perché hanno visto tutti, chiaramente,
qualche cosa che supera la loro capacità di comprensione, qualche
cosa che assolutamente non avrebbe dovuto essere lì. Sul mantello
di neve immacolata che copre ogni cosa si stagliano, nette, delle
impronte di un qualche animale: più precisamente, delle orme
di zoccoli. (15) Si allontanano dalla regione costiera per spingersi
verso l'interno e si perdono in direzione delle alture. Orme di zoccoli,
laggiù, in capo al mondo! E tutto lascia pensare che siano
anche recenti, poiché, diversamente, la neve le avrebbe rapidamente
cancellate. I marinai britannici stentano a credere ai loro stessi
occhi: come è possibile una cosa del genere?
LA CORNICE: -
Sir James Clark Ross, nato a Londra il 15 aprile del 1800, aveva già
una discreta fama come esploratore polare. Compagno di sir William Edward
Parry nelle sue spedizioni artiche, il 31 maggio 1831 aveva localizzato
l'esatta posizione del Polo Nord magnetico nella Penisola di Boothia
(Canada settentrionale). (16) Nel 1835-36 era stato inviato nello Stretto
di Davis, con la nave Cove, per soccorrere un certo numero di baleniere
inglesi provenienti dal porto di Hull, rimaste intrappolate nei ghiacci.
(17) Infine, il 18 aprile 1839 aveva assunto il comando della spedizione
antartica formata dall'Erebus, come si è detto, e dal Terror,
quest'ultimo di 340 tonnellate e con un equipaggio, anch'esso, di 26
uomini, al comando del suo amico Francis Crozier. (18)
Ross aveva avuto istruzioni di salpare per la Tasmania allo scopo di
stabilire una stazione permanente per eseguire osservazioni magnetiche.
Lungo la traversata doveva compiere analoghe osservazioni all'isola
di S. Elena, nell'Atlantico meridionale, e al Capo di Buona Speranza.
L'Erebus e il Terror giunsero in vista delle Kerguélen nel giugno
e vi stazionarono per due mesi, in attesa di compiere il balzo successivo
verso la Tasmania e, di lì, per le isole Auckland, fino all'Antartide.(19)
Quei due mesi furono impiegati da un gruppo di ufficiali per fare rilievi
magnetometrici e da Ross, personalmente, per compiere osservazioni astronomiche
e nautiche.
L'arcipelago delle Kerguélen deve il nome al suo scopritore,
il bretone Yves I. de Kerguèlen-Tremarec, che le avvistò
il 13 febbraio 1772 e le credette parte, tanto per cambiare, del supposto
continente australe o Terra Australis Incognita - la grande ossessione
geografica del Settecento, nonché dei due secoli precedenti.
(20) In Francia, infatti, "il presidente Charles de Brosses, convinto
che nel Sud esistesse un continente grande quanto Europa, Asia e Africa
messe insieme, riunì materiale di ogni genere e in tutte le lingue,
per prepararne l'esplorazione. Tutti gli elementi raccolti formano il
tema della sua Storia delle navigazioni verso le Terre Australi, che
l'autore teneva aggiornata, senza tuttavia che la seconda edizione fosse
mai pubblicata; l'opera, che spinse più di un navigatore verso
la Magellania, la Polinesia e l'Australasia, si trova attualmente presso
la Biblioteca Nazionale di Parigi."(21) Si direbbe che quella ossessione
arrivasse a offuscare le idee anche di espertio navigatori, se è
vero che, tornato in patria senza averne riconosciuta la natura insulare,
contro il parere del proprio equipaggio descrisse la terra da lui scoperta
come una specie di Paradiso Terrestre. Deciso a sostenere la veridicità
del suo racconto, nel 1774 Kerguélen si rimise in mare con due
navi e volle tornare alla Francia Australe (così aveva denominato
inizialmente quelle terre), ma una furiosa tempesta impedì nuovamente
lo sbarco e rese impossibile un preciso rilevamento delle coordinate
geografiche. Quel che è certo, questa volta anche l'ostinato
ottimismo del navigatore francese dovette ricevere un duro colpo visto
che all'affascinante descrizione fatta dopo il priomo viaggio subentrò
una diversa valutazione dei fatti. Probabilmente non era un'appendice
della vasta Terra Australe e, comunque, la sua posizione e il suo clima
non erano poi tanto favorevoli, dato che questa volta fu lo stesso Kerguélen-Tremaréc
a ribattezzare l'arcipelago Terra della Desolazione. (22) Così
- conclude Silvio Zavatti - il nuovo viaggio non portò a nessun
risultato positivo, anzi riaccese polemiche e accuse, per le quali il
navigatore subì gravi punizioni e condanne." (23) Difficile
perdonargli, in ogni caso, di aver infranto un sogno plurisecolare come
quello di una edenica Terra Australe Incognita, un mito che lui stesso
aveva alimentato entusiasticamente due soli anni prima e sul quale,
due anni dopo (nel 1776), il capitano James Cook, giunto con le due
navi Resolution e Discovery alle isole Kerguélen e riconosciutane
definitivamente la natura insulare, chiuderà per sempre la pietra
tombale.(24)
Come si è detto, i primi esploratori non trovarono traccia di
una fauna indigena superiore, a parte numerosi uccelli e tre distinte
specie di pinguini: reale, papua e gorgua.(25) La fauna inferiore è
rappresentata da un certo numero di insetti senza ali, perché
i forti venti dominanti dell'Ovest renderebbero impossibile qualsiasi
tentativo di volo; da un lepidottero parassita del cavolo, ossia una
mosca essa pure priva di ali; da alcuni acari e da due o tre Protozoi
che vivono nel muschio, un tipo di vegetazione molto diffusa a causa
della persistente umidità del clima. (26)
Furono i Francesi, molto più tardi, che tentarono d'introdurre
una fauna superiore per motivi economici (l'arcipelago era stato annesso
alla Francia nel 1893). Nel 1908-11 e poi ancora nel1927-28 essi tentarono
l'allevamento delle pecore, ma anche se l'esperimento non fallì
del tutto, una serie di ragioni, prima fra tutte la difficoltà
di rifornimenti, indussero i colonizzatori a ritirarsi dalle isole,
rinunciando a persistere nel tentativo.
LE IPOTESI.-
Sorpresa e affascinazione sono, dunque, i sentimenti che James Clark
Ross e i suoi compagni provano, in quel maggio del 1840, davanti alle
impronte di zoccoli sulla neve dell'isola Kerguélen. Dopo un
comprensibile momento di stupore e quasi d'incredulità, si decide
di tentar di andare a fondo nell'enigma così inaspettatamente
presentatosi in quella remota terra dell'emisfero australe. Il gruppo
si mette a seguire le impronte, ma ben presto è costretto a fermarsi,
deluso: esse scompaiono improvvisamente su un terreno roccioso, non
c'è più niente da fare. Bisogna tornare indietro senza
aver potuto dare una risposta alla domanda: qual è l'origine
di quelle impronte, dal momento che sull'isola non vi sono né
ponies né altri animali in grado di lasciare orme simili?
James Clark Ross scrive subito un rapporto sullo strano episodio, ma
esso passa praticamente inosservato. La relazione del viaggio antartico
di Ross, qualche anno dopo, viene bensì letta e apprezzata da
un selezionato pubblico di specialisti, ma non diviene mai quel che
si dice, oggi, un best-seller. E così, quasi certamente, il mistero
delle impronte dell'isola Kerguélen sarebbe stato del tutto dimenticato
se quindici anni dopo, quando il pubblico inglese è travolto
dall'"affaire" delle cosiddette impronte del diavolo del Devonshire
(febbraio 1855), qualcuno non si ricordasse di quella vecchia e strana
storia. E' un corrispondente del London Illustrated News a rispolverare
il rapporto dell'esploratore James Clark Ross e a richiamare su di esso
l'attenzione sovreccitata dei lettori del Regno Unito (27): ma di questo
parleremo fra breve.
Dobbiamo ora tentare di dare una qualche risposta agli interrogativi
che il "mistero delle Isole Kerguélen" sollecita, e
cercheremo di farlo con mente sgombra, per quanto possibile, da pregiudizi,
senza per questo esser disposti a cadere nella credulità.
Un fatto naturale richiede, fino a prova contraria, una interpretazione
di tipo naturale: questa è una ovvia premessa di carattere metodologico.
E tuttavia il concetto di "evento naturale", dopo le scoperte
di fisici come Einstein ed Heisenberg, si è enormemente arricchito
di valenze ignorate all'epoca della Rivoluzione scientifica del XVII
secolo. Il problema è che, mentre gli specialisti delle varie
scienze (matematica, fisica, scienze naturali e scienze della psiche)
sono perfettamente consapevoli di non poter studiare i fatti del mondo
naturale con lo stesso punto di vista di Francesco Bacone, Galilei,
Cartesio o Newton, gran parte dei divulgatori scientifici e, attraverso
di essi, del pubblico dei non-specialisti, sono rimasti ancorati a una
visione scientifica alquanto datata: quella, in sostanza, impostasi
in Occidente, verso la fine del XIX secolo, con la filosofia del Positivismo.
Questa premessa era necessaria perché il campo del possibile,
nella scienza contemporanea, si è molto allargato rispetto a
quanto comunemente ammesso prima della "scoperta" delle matematiche
non euclidee, delle particelle sub-atomiche e della dimensione inconscia
della psiche. La teoria dei quanti, nel campo della fisica, o il riconoscimento
dei casi di personalità multipla, in quello della psicologia,
per fare solo due esempi, hanno letteralmente rivoluzionato la nostra
visione del mondo naturale. Non solo: passata (almeno fra gli specialisti)
la stagione dell'ubriacatura postivistica e neopositivistica, cioè
di una visione rozzamente scientista della realtà, torna con
forza crescente la vecchia domanda: è possibile esplorare tutto
il campo delle realtà naturali, servendosi esclusivamente degli
strumenti d'indagine, materiali e concettuali, forniti da quella facoltà
che quasi tutte le filosofie dell'Occidente (ma solo dell'Occidente,
anzi dell'Occidente moderno) definiscono genericamente la ragione ma
che è, a ben guardare, solo una parte di essa, e cioè
la ragione strumentale e calcolante?
Problemi difficili, certo, e la cui trattazione - anche sommaria- esulerebbe
di gran lunga dai limiti della presente indagine. Tuttavia era giusto,
crediamo, almeno accennarvi, prima di tentare una modesta indagine sulla
questione che ci eravamo proposta.
Ora, se è giusto - in una ricerca scientifica - partire dalla
spiegazione più semplice di un determinato fenomeno naturale,
la prima ipotesi cui si è tentati di ricorrere per spiegare il
mistero delle impronte viste dagli uomini della spedizione antartica
di J.C.Ross è che esse siano state lasciate sulla neve da un
animale introdotto dall'uomo. Abbiamo ragioni per ritenere verosimile
una tale ipotesi? In linea di massima, saremmo portati a rispondere
affermativamente a questa domanda, nonostante il parere negativo espresso
da James Cook circa le possibilità di sopravvivenza di animali
introdotti dall'Europa'(vedi nota n. 24 del presente articolo. Dopo
la visita del capitano Cook, nel 1776, l'arcipelago delle Kerguélen
divenne il punto d'incontro di cacciatori di foche e di balene, che
le usarono - come molte altre isole sub-antartiche - quale base provvisoria
durante le loro spedizioni di caccia, che potevano durare anche tre
anni. (28) Erano i tempi d'oro di quel genere di battute, immortalati,
fra l'altro, da romanzi famosi come Moby Dick di Herman Melville. Gli
studiosi di botanica, e particolarmente di fitogeografia, sanno bene
quali danni irreparabili quei cacciatori di foche e di balene portarono
agli ecosistemi delle isole oceaniche perché, oltre a compiere
stragi indiscriminate di cetacei e di pinnipedi, spesso fino alla totale
estinzione, essi avevano preso l'abitudine di sbarcare a terra, in quelle
isole, animali domestici destinati all'alimentazione degli equipaggi,
particolarmente ovini e suini. (29) Le capre e, in misura minore, le
pecore e i maiali, si arrampiacavano dappertutto, sterminando (ove ce
n'erano) i piccoli mammiferi indigeni e gli uccelli più indifesi,
com'era successo al Dodo, uccello non volatore, dell'isola Mauritius,
nel 1600. (30) Ad essi si aggiungeva l'opera nefasta dei ratti, viaggiatori
clandestini di tutte le navi europee e nemici implacabili delle faune
indigene. Capre e pecore, poi, brucavano voracemente la vegetazione,
sino a rendere brulle e spoglie delle isole un tempo ammantate di una
ricca vegetazione: tale fu il caso, ad esempio, dell'isola di S: Elena
e dell'isola di Pasqua fra quelle sub-tropicali, e, almeno in parte,
della Nuova Zelanda, fra quelle di clima temperato. L'importazione casuale
di piante infestanti di origine europea e quella volontaria di piante
destinate ad uso agricolo dava poi il colpo di grazia a quei delicatissimi
ecosistemi, che l'isolamento millenario aveva reso particolarmente vulnerabili
rispetto ai competitori esterni.A tutto questo si aggiunga che gli Europei
introducevano non solo animali da allevamento, ma anche selvaggina selvatica,
come il cervo nella Nuova Zelanda o addirittura la renna nella Georgia
Australe, che i Norvegesi avevano trasformato in una stazione baleniera
permanente: con quali conseguenze sul mantello erboso originario, è
facile immaginare.
Dunque, non si può escludere del tutto che le impronte viste
sull'isola Kerguélen da Ross nel 1840 fossero dovute a una pecora
o a una capra (più difficile, ache se non impossibile, pensare
a un maiale rinselvatichito) portata da qualche baleniere allo scopo
di potersi rifornire di carne fresca nel corso delle lunghe battute
di caccia nei mari australi, in un'epoca in cui l'unico sistema di conservazione
della carne era quello di metterla sotto sale e non poteva, comumque,
garantirne la commestibilità a tempo indefinito.
Tutto chiarito, allora, e svelato il mistero? In realtà,
le cose non sono proprio così facli Infatti, questa spiegazione
offre indubbiamente il vantaggio della semplicità, il che corrisponde
a una nota formula della filosofia scolastica, secondo la quale non
bisogna moltiplicare il numero degli enti quando è possibile
spiegare la realtà con un numero più ristretto di cause.
(31) D'altra parte, essa presenta un inconveniente tutt'altro che trascurabile:
è puramente congetturale e ha dalla sua il criterio della verosimiglianza
logica, ma non quello della verifica concreta. Ad esempio, noi possiamo
sapere con certezza quando monsieur Brossière prese in affitto
dal governo francese vasti appezzamenti di terreno per introdurre sull'isola
l'allevamento delle pecore; ma non sappiamo nulla di quanto potè
fare, di propria iniziativa e in via, diciamo così, non ufficiale,
qualche sconosciuto capitano di baleniera nei primi decenni del XIX
secolo, quando la sovranità su quei luoghi era peraltro ancora
indefinita. Vogliamo dire che è ragionevole supporre che animali
dotati di zoccoli siano stati introdotti senza che la cosa fosse noto
a livello internazionale, e ciò spiegherebbe egregiamente la
vivissima sorpresa provata dai membri della spedizione antartica britannica:
è ragionevole appunto perché fornisce la spiegazione più
semplice e naturale di un evento altrimenti difficilmente interpretabile.
Ma ciò significa, d'altro canto, che le conclusioni sono già
implicite nella premessa, com'è tipico del ragionamento deduttivo.
Se tutti gli uomini sono mortali e se Socrate è un uomo, allora
Socrate è mortale; se alcune specie di mammiferi hanno gli zoccoli
e quelle trovate sulla neve sono impronte di zoccoli, allora a produrle
devono essere stat degli ungulati (dal latino ungula = unghia, zoccolo),
anche se non risiulta affatto che ve ne fossero, in quel momento, sull'isola.
Qual è il limite intrinseco di un tal modo di studiare i fatti
naturali? Quello di trattarli in maniera concettuale, cioè teorica,
come si fa con gli enti della logica e con quelli della matematica,
ma come non si dovrebbe dare per scontato con gli enti empirici. Torna
qui attuale il pregiudizio fondamentale di ogni concezione della realtà
basata sullo scientismo: se esiste o se, comunque, è esperibile
solo ciò che può essere studiato in termini logico-matematici
(il fenomeno kantiano, radicalmente separato dalla cosa in sé
o noumeno), non può darsi altra realtà che quella fisica
in senso stretto. Ma quali garanzie abbiamo che la realtà fisica
stricto sensu, cioè esperibile dai sensi ordinari, esaurisca
l'intera gamma del reale? Che cosa ci autorizza a pensare che la Natura
sia solo quella esperibile con i sensi ordinari e che inoltre, al di
sopra (o al di sotto) di essa non vi siano altri piani di realtà,
cher la ragione strumentale e calcolante è inadeguata a comprendere,
anzi perfino ad immaginare? Del resto, la ragione umana è qualcosa
di più nobile e complesso di un elaboratore elettronico; ma usandola
in maniera esclusivamente strumentale, non le consentiamo di ottenere
risultati diversi da quelli di un elaboratore. Il computer non ci dà
operazioni diverse dai dati che vi abbiamo precedentemente inserito:
e tale è anche la struttura della ragione calcolante.Se pretendiamo
di ottenere da essa solo risposte implicite nelle informazioni di partenza,
ci precludiamo di ampliare veramente il campo della conoscenza umana.
L'albero di melo non può dare che mele; la ragione calcolante
non può dare che quanto è implicito nelle sue premesse
(o nei suoi pregiudizi), tertius non datur - meglio ancora: secundus
non datur. Pertanto, sono ammesse solo quelle ipotesi scientifiche che
non contrastano con le premesse del quadro generale di riferimento accettato,
in un determinato momento storico, dalla comunità scientifica
dominante (università, case editrici, sistema scolastico, ecc.).
Ma un tale modo di procedere ostacola il reale progresso scientifico
e, giusta l'ipotesi dell'epistemologo Thomas Kuhn, produce le rivoluzioni
scientifiche che sono essenzialmente rivoluzioni contro il paradigma
accettato appunto dalla comunità scientifica ufficiale.(32)
Proviamo allora a capovolgere, per pura ipotesi, il nostro paradigma
scientifico e ad ammettere che, se nelle isole Kerguélen non
vi erano capre, pecore, maiali o addirittura cervi, le impronte di
zoccoli sulla neve non possono essere spiegate con la presenza di
tali animali. Sul piano del ragionamento logico ristretto, questa
è un'acquisizione concettuale non meno logica, anzi si direbbe
molto più logica, della precedente. Quello che stride è
il quadro di riferimento generale: i dati che abbiamo immesso, per
così dire, nel computer; cioè che in quei luoghi non
esistevano mammiferi di alcun tipo. E dunque?
E' giunto il momento di ritornare alla vicenda delle impronte del
diavolo del Devonshire, che indirettamente aveva riportato
di attualità, e messo a conoscenza di un vasto pubblico, la
misteriosa scoperta fatta da J. C. Ross nell'isola di Kerguélen.
La mattina dell' 8 febbraio 1855 gli abitanti del Devon scoprirono,
uscendo di casa nel freddo intensissimo di quell'inverno eccezionale,
una serie di impronte di zoccoli nella neve, disposte in linea retta
e riconoscibili lungo una distanza totale di circa 80 miglia. Non
assomigliavano alle impronte di alcun animale conosciuto, ma né
questo fatto né la straordinaria lunghezza della traccia, che
attraversava le campagne innevate in linea retta, rappresentavano
la cosa più sconcertante.
Quest'ultima era costituita dal fatto che le impronte si snodavano
una dietro l'altra, tagliando diritto anche in presenza di ostacoli.
Davanti ai muri dei giardini, per esempio, esse si fermavano per continuare
dall'altra parte, come se lo sconosciuto animale li avesse saltati
senza minimamente deviare, anzi, come se li avesse "attraversati".
E la neve sulla cima dei muri era rimasta vergine! In alcuni villaggi,
poi, le impronte a ferro di cavallo erano ben visibili sui tetti delle
case, a precchi metri d'altezza; oppure si fermavano davanti alla
soglia di una capanna, per ricomparire sul retro; oppure ancora scomparivano
davanti a un mucchio di fieno e poi riprendevano al di là di
esso, sempre in linea retta, come se la creatura vesse compiuto un
salto prodigioso. La popolazione ne fu terrorizzata: furono organizzate,
ma invano, delle battute di caccia con fucili e forconi, e ben presto
nacque fra il popolo la voce che il Diavolob, in quella buia e fredda
notte d'inverno, avesse passeggiato sulla Terra con piedi di caprone,
come ai tempi dei Sabba delle streghe.
Naturalmente anche il mondo scientifico fu messo a rumore, e parecchi
naturalisti, tra cui il celebre Richard Owen, vollero dire
la loro.
Si parlò di un tasso; ma quale animale selvatico poteva
correre in in linea retta per la bellezza di 80 miglia, coprendo una
tale distanza in una sola notte? E saltare a quel modo al di là
dei muri e dei covoni di fieno, per poi salire sui tetti delle case?
(33)
Qualcun altro ipotizzò che un pallone sonda si fosse alzato,
forse per disguido, dal porto militare di Devonport la sera del 7
febbraio, e che dei sacchetti pendenti da delle funi avessero lasciato
le famose impronte. (34) Certo che il vento doveva esser stato un
prodigio di costanza, per aver sospinto il pallone sonda così
a lungo senza mai deviare né a destra né a sinistra!
Si parlò anche di un uccello; di un canguro fuggito
da uno zoo; di un buontempone in vena di scherzi fuori del comune:
tutte ipotesi praticamente insostenibili e tutte rispondenti a una
medesima logica: il mistero non è una dimensione della realtà
che va accostata con l'indagine razionale ma anche con umiltà
e consapevolezza dei limiti umani, bensì un nemico da aggredire,
una sfida intollerabile da rintuzzare, un'inquietudine che va rimossa
ad ogni costo per riportare la percezione del reale entro i binari
rassicuranti di ciò che è già conosciuto. In
alttre parole, per la metalità scientista è preferibile
cadere nell'assurdo (un tasso che copre 80 miglia in poche ore, saltando
muri e scalando edifici) piuttosto che ammettere, anche solo per ipotesi,
che si possa sollevare per un momento il velo della razionalità
codificata dal paradigma scientifico dominante.
E si badi che il caso delle impronte del Devonshire non è affatto
un unicum nella storia recente (per non parlare di quella antica).
Per fare un solo altro esempio, ma se ne potrebbero fare parecchi,
ricordiamo che il Times di Londra del 14 marzo 1840 (dunque, due mesi
prima della scoperta di James Clark Ross nei mari antartici) riferì
di impronte identiche a quelle trovate poi nel 1855, questa volta
sulla neve di Glenorchy, nelle Highlands scozzesi, con l'unica differenza
che sembravano prodotte da una creatura che avesse proceduto a balzi
piuttosto che al trotto. (35) E ci siamo limitati alla sola Gran Bretagna;
ma impronte strane, o mostruose, sono state segnalate in ogni parte
d'Europa e nell'arco di vari secoli. E allora?
Certo non saremo noi a tirare in ballo l'ufologia, o l'occulto, magari
in chiave diabolica (per quanto rifiutiamo l'atteggiamento sprezzante
di aprioristico rifiuto, proprio a molti divulgatori scientifici di
formazione neopositivista). Tornando al caso delle isole Kerguélen,
gli elementi in nostro possesso sono troppo scarsi per arrischiare
una spiegazione del fenomeno, sia di tipo naturalistico sia d'altro
genere. Mancano, ad esempio, i calchi o le riproduzioni delle impronte,
mentre esistono nel caso del Devonshire di quindici anni dopo. (36)
Il fatto che le spiegazioni razionali avanzate si siano dimostrate
poco convincenti non autorizza a saltare con ingenua disinvoltura
nel campo dell'irrazionale.
Forse, però, nonostante tutto possiamo ricavare un insegnamento
di carattere generale da questa intricata vicenda, sollevata quasi
per caso da una spedizione scientifica del 1840 in una dimenticata
isola sub-antartica, ed è il seguente. Vi sono cose per le
quali la scienza naturale stenta a dare una spiegazione e che stenta
perfino a contestualizzare nel paradigma scientifico perlopiù
accettato, non perché la scienza non disponga al momento di
strumenti di ricerca sufficientemente sofisticati, ma perché
l'orizzonte concettuale della ragione calcolante è intrinsecamente
inadeguato non solo a comprenderli, ma addirittura ad accettarli.
I "cerchi nel grano" (non tutti, ovviamente, ma quelli infinitamente
complessi e straordinariamente precisi, giudicati "autentici"
dagli studiosi, nel senso di non contraffatti), appartengono a tale
categoria di fenomeni. (37) Un altro esempio è costituito da
quei reperti archeologici o paleontologici che contrastano irrimediabilmente
col paradigma scientifico oggi dominante (si badi a quell'oggi), e
che si stanno accumulando uno sull'altro, a dispetto della decisa
volontà della scienza accademica di voltare la testa dall'altra
parte per non vederli (situazione che richiama molto, per inciso,
quella della cosmologia tolemaica alla vigilia della rivoluzione copernicana).
(38) Ma una scienza che impieghi parte delle sue energie per rimuovere
quei fatti che non riesce a spiegare, invece di prenderli seriamente
in considerazione, è una scienza che nega i suoi stessi presupposti
e la propria ragion d'essere. Così accade che "pur vedendo
non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono." (39) Analogo
discorso si potrebbe fare per molti di quei fenomeni "paranormali"
di cui si occupa, da alcuni decenni ormai, una scienza giovane come
la parapsicologia; o per quelle creature misteriose di cui si occupa
la criptozoologia. La civiltà occidentale moderna, figlia della
Rivoluzione scientifica del XVII secolo, è passata da un estremo
all' altro: un tempo si credeva pressochè a tutto (40), oggi
non si vuol credere più a nulla che non sia misurabile, quantificabile,
riproducibile in laboratorio; ad onta del fatto che civiltà
millenarie, come quella dell'India, abbiano sempre considerato con
ben altra consapevolezza fenomeni non spiegabili solo con la ragione,
attinenti al mondo naturale, preternaturale e soprannaturale.
E' come se avessimo fermamente deciso di escludere dal nostro orizzonte
mentale e spirituale tutto ciò che non rientra nella sfera
della ragione strumentale, riducendo l'essere umano, per parafrasare
Marcuse, a vivere in una sola dimensione, mentre è immerso
n un cosmo multidimensionale ed è, egli stesso, chiamato a
realizzare una vocazione più ampia, più comprensiva
della realtà in cui è collocato. Triste spettacolo quello
di un pesce delle immensità oceaniche, costretto a sguazzare
in una misera pozzanghera; o, se si preferisce il paragone, del proprietario
di un immenso e magnifico palazzo che si riduce, per pigrizia ed ignoranza,
a vivere come un mendicante nella più buia e squallida delle
sue cantine.
NOTE.-
1) Spesso, nelle enciclopedie e nei libri di geografia, si parla
dell'isola Kerguélen al singolare, mentre si tratta di un arcipelago
formato da oltre 300 isole di cui una sola, effettivamente, occupa
di gran lunga la maggior superficie (5.820 kmq. su un totale di 6.232:
un po' meno della Corsica). Le coordinate geografiche sono fra 48°
27' e 49° 50' Sud; e fra 68° 30' e 70° 35' Est. Politicamente
il gruppo fa parte delle Terre Australi ed Antartiche Francesi (T.A.A.F.,
kmq. 395.500 circa) che comprendono anche le isole Crozet, Saint-Paul
e Amsterdam, e la Terra Adelia nel continente antartico vero e proprio
(dati riportati sul Calendario Atlante De Agostini di Novara). Scrive
Zavatti: "Soltanto la Grande Terra, lunga 140 km., è degna
di rilievo. E' costituita da terreni vulcanici dell'èra secondaria
e terziaria e presenta uno sviluppo costiero di 1.300 km. Vi si trovano
numerosi giacimenti di lignite, la cui consistenza è però
troppo limitata per renderne consigliabile lo sfruttamento."
In S. Zavatti, I Poli, Milano, Feltrinelli, 1963, p. 210. La distinzione
fra Grande Terra ed arcipelago risale all'Ottocento ed è documentata
nella Geographie Universelle dell'insigne geografo Eliseo Réclus
(Parigi, vari voll .fra il 1876 e il 1894). Per motivi pratici, tuttavia,
nel corso del presente articolo useremo indifferentemente l'espressione
"isola" o "arcipelago", il numero singolare o
plurale, ma con diverso significato che sarà ricavabile dal
contesto.
2) Cfr. Il grande libro delle esplorazioni a cura di E: Newby, tr.
it. Milano, Vallardi, 1976, p. 250. Erebus e Terror erano due navi
cannoniere attrezzate a barco della Marina da Guerra, tre alberi,
costruzione in legno. Nonostante le loro modeste dimensioni avevano
una grande capacità di carico, e inoltre il loro ridotto pescaggio
le metteva in grado di sfruttare agevolmente anche quei porti naturali
che, come alle Kerguélen, non risultavano ancora scandagliati
e accuratamente rilevati sulle carte nautiche. Un grave incidente
dovuto alle rocce sommerse si verificò in un canale della Grande
Terra all'incrociatore ausiliario tedesco Atlantis, nel 1940, nonostante
la profondità apparente fosse stata rilevata di 20 metri ed
il fatto che la nave avesse atteso l'alta marea del mattino per penetrarvi.
Cfr. U. Mohr, Atlantis, tr. it. Milano, Longanesi, 1965, pp. 181-87.
3) Cfr. Encyclopaedia Britannica, ed. 1961, vol. 13, p.350. "The
island was discovered by the French navigator, Yves Joseph de Kerguelen-Trémarec,
a Breton noble (1745-1797), on the 13th of February 1772, and partly
surveyed by him in the following year. He was one of those explorers
who had been attracted by the belief in a rich southern land, and
this island, the South France of his first discovery, was afterwards
called by him Desolation Land in his disappointment." Pare che
il conte de Kerguélen-Trémarec, al suo rientro in Francia,
finisse addirittura imprigionato alla Bastiglia (vedi U. Mohr, op.
cit., p.177). Sul cambiamento di nome delle isole, vedi anche W. Sullivan,
Alla ricerca di un continente, tr. it. Firenze, Casini, s.d.
4) Nella baia che da Cook fu chiamata Christmas Harbour, ma che i
Francesi del capitano Rosnevet, collega del Kerguélen, avevano
scoperto il 6 gennaio 1774 e denominato dell'Oiseau (dal nome della
loro nave), furono trovati degli alberi fossili, uno dei quali misurava
sette piedi di circonferenza: cfr. Ch. de La Roncière, La scoperta
della Terra, tr. it. Torino, S.A.I.E., 1958, p. 280. Il piede è
una misura di lunghezza inglese corrispondente a 12 pollici e a un
terzo di yard, ed equivalente a 30,48 cm.; pertanto l'albero segnalato
dal Rosnevet aveva una circonferenza di 213,36 cm. Solo in un clima
tropicale, sub-tropicale o almeno temperato possono svilupparsi forme
arboree di tali dimensioni; e i giacimenti di lignite confermano che
le Kerguélen dovettero godere, in passato, di un clima del
genere, ben diverso da quello odierno La cosa non è semplicissima
da spiegare, anzi è più difficile delle foreste fossili
rinvenute nella stessa Antartide, la quale " era un tempo lussureggiante
di boschi di pini e di giungle di felci arboree" (da W. Sullivan,
op. cit., p. 16). Questo perché la deriva dei continenti e
la teoria della tettonica a zolle spiegano abbastanza agevolmente
il radicale mutamento climatico di intere masse continentali; ma le
piccole isole oceaniche di origine vulcanica presentano un caso del
tutto diverso. Qui, probabilmente, il cambiamento del clima è
avvenuto in gran parte a causa della migrazione dei Poli terrestri.
Per la distribuzione degli alberi nelle zone più meridionali
della Terra, cfr. F. Lamendola, Il limite antartico della vegetazione
arborea, in Il Polo, vol. 3, 1986, pp. 29-35.
5) Pringlea è un genere di piante erbacee rappresentato da
una sola specie, Pringlea antiscorbutica (così chiamata perché
usata dagli equipaggi delle navi a vela per combattere lo scorbuto,
malattia dovuta a carenza di vitamina C), dall'aspetto di un cavolo
e assai ricca di acido ascorbico. E' una delle rare piante fanerogame
(= con fiore) delle isole Kerguelen; cfr.Dizionario di Botanica, Milano,
Rizzoli, 1984, p. 383. Come il cavolo, Pringlea appartiene alla famiglia
delle Cruciferae; per una adeguata rappresentazione, vedi A. Guillaumin-F.
Moreau - C. Moreau, Mondo verde, tr. it. Milano, Labor, 1957 (2 voll.),
vol: II, p 808.
6) Sir Joseph Dalton Hooker (1817-1911) era figlio di un altro celebre
botanico, sir William Jackson Hooker (1785-1865), la cui fama è
legata, oltre che a un decisivo contributo allo studio delle piante
superiori, delle felci, delle alghe, dei licheni e dei funghi, al
fatto di essere stato (dal 1841) il primo direttore dei Royal Botanic
Gardens di Kew, nel Surrey, prestigiosa istituzione scientifica del
XIX secolo. La notorietà di J. D. Hooker, invece, è
dovuta soprattutto ai suoi viaggi botanici, allo studio della distribuzione
geografica delle piante e all'incoraggiamento dato a Charles Darwin
(insieme al geologo Ch. Lyell) quando il grande scienziato, padre
della teoria della selezione naturale, fu messo in crisi dalla comunicazione
di Alfred Russell Wallace del 1858, in cui questi aveva elaborato,
indipendentemente, una teoria analoga. Il viaggio più importante
di J. D. Hooker fu quello al seguito di J. C. Ross come assistente
del medico di bordo, ma in realtà come naturalista della spedizione.
Nel 1855 venne nominato aiuto direttore dei Giardini di Kew e nel
1865 vi succedette al padre come direttore; dal 1873 al 1878 fu presidente
della Royal Society. Cfr: le due "voci" della Encyclopaedia
Britannica, ed. 1961, vol. 11, pp. 727, 729.
7) Al ritorno dalla spedizione di J. C. Ross, nel 1843, Joseph Dalton
Hooker pubblicò Flora Antarctica (1844-47), Flora Novae Zelandiae
(1853-55) e infine Flora Tasmanica (1855-60), un vasto e minuzioso
trittico che compendiava le più recenti conoscenze geobotaniche
dell'emisfero Sud. Altre sue opere importanti sono Outlines of the
Distribution of Arctic Plants (1862); il classico Student's Flora
of the British Isles (1870); un'opera monumentale, Genera plantarum
(1862-63), in collaborazione con G. Bentham; e Flora of British India
(1855-97). Vedi anche L. Huxley, Life and Letters of sir J. D. Hooker,
2 voll. (1918), e W. B. Turrill, Pioneer Plant Geographer (1953).
Sul ruolo da lui svolto, insieme a Lyell, nel sollecitare Darwin,
cfr. G. Montalenti, Charles Darwin, Roma, Editori Riuniti, 1982, pp.
61-62 ep. 125; e J. F. Leroy, Darwin, tr. it. Milano, Ediz. Accademia,
1971, pp. 55-56.
8) "Kerguélen era salpato dall'isola di Francia [Mauritius]
il 16 gennaio 1772, con la nave da carico Fortune e la gabarra Gros-Ventre,
per tentare attraverso l'Atlantico meridionale una nuova via preconizzata
dal visconte De Grenier. Il luogotenente De Boisguehenneuc aveva scoperto
la terra che in seguito avrebbe portato il nome del suo capitano;
povera terra che aveva per soli abitanti il pinguino reale, la procellaria
gigante, l'albatro, il gabbiano e la fregata, e come visitatori il
leopardo e l'elefante marino." Così Ch. de La Roncière,
op. cit., pp. 279-80.
9) Probabilmente si tratta di Christmas Harbour, di cui esiste una
bella incisione nel libro di J. C.Ross A voyage of Discovery in the
Southern and Antarctic Regions, Londra 1847 (e che è riportata
sia in Ch. de La Roncière, op. cit., p 390, sia nel vol. della
enciclop. Il mondo dell'occulto, di C. Wilson, Realtà inesplicabili,
tr. it. Milano, Rizzoli, 1976, p. 129). L'incisione, di gusto squisitamente
romantico, ben esprime quel senso di suggestiva, indefinibile malinconia
che avvolge il paesaggio delle Kerguélen. Come stile ricorda
molto le celebri incisioni di Gustave Dorè per la Divina Commedia,
e particolarmente l'atmosfera elegiaca di quelle del Purgatorio Queste
notazioni hanno la loro importanza perché aiutano a comprendere
con quale tipo di sensibilità esploratori come Ross si accostarono
alle terre dell'emisfero australe e con quale attitudine psicologica
vissero l'esperienza del mistero.
10) Il Monte Ross è alto 1.960 m. e sorge nella Penisola Galliéni,
al centro della costa meridionale, fra la Penisola de l'Amiral a sud-ovest
e la Penisola Joffre a sud-est (tutti nomi, ovviamente, moderni).
In linea d'aria, si trova esattamente a metà strada fra il
canale di Port-aux-Francais e le pendici del grande Ghiacciaio Cook,
che copre il 20 % della superficie della Grande Terra. Cfr. L. Boitani
- S. Bartoli - L. Beani, Antartide e Patagonia, Edizioni Futuro, 1985,
p. 91.Per la cartografia, vedi Il grande Atlante di Selezione dal
Reader's Digest, 1962, tav. 72.
11) Lucrezio, De rerum natura, libro quinto, 195-234. "Lucrezio
combatte l'opinione degli Stoici che una Provvidenza divina governi
il mondo, e che esso sia stato creato dalla Provvidenza stessa nel
modo migliore per l'uomo, e quasi posto al suo servizio. L'evidenza
stessa delle cose prova il contrario: vediamo infatti che monti e
foreste selvagge, mari e paludi rendono inabitabile gran parte della
terra, due terzi della quale, la zona glaciale e la zona torrida,
non consentono vita umana…" Così L. Perelli nel suo
Commento al De rerum natura, Torino, Lattes, 1981, p. 174.
12) U: Mohr, op. cit., pp. 180, 196.
13) "I conigli cancellarono letteralmente tutta la copertura
vegetale dominante nell'arcipelago delle Kerguélen, copertura
che era assicurata da tre diverse piante: Azorella, Pringlea e Festuca.
Al loro posto crebbe Acaena, una pianta che ricresce rapidamente dopo
il pascolo ed è anche diffusa dagli stessi conigli. Sfortunatamente
tutta la microfauna invertebrata infeudata sulla vegetazione originaria
non potè adattarsi ad Acaena e scomparve." Cit. da H.
Koopowitz -H. Kaye, Piante in estinzione. Una crisi mondiale, tr.
it. BolognA, Edagricole, 1985, p. 111.Si noti che in una lontanissima
isola del Pacifico meridionale, Mas a Tierra, è in atto lo
stresso dramma fin dagli anni fra Otto e Novecento: la specie cilena
Acaena argentea, insieme a un'altra infestante sudamericana, Aristotelia
maqui, si va diffondendo rapidamente e minaccia la incomparabile ed
unica flora locale. Cfr. C. Skottsberg, The Island of Juan Fernandez,
in The Geographical Review, 1918, vol. 1, pp. 362-383. Vedi anche
la "voce" Juan Fernandez nella Enciclopedia Italiana.
14) Una estesa trattazione dell'avifauna delle isole sub-antartiche,
tra cui le Kerguélen, si trova in B. Stonehouse, Vita del Polo
Sud, tr. it. Milano, Mondadori, 1973. La distruzione della fauna indigena,
comunque, non ebbe inizio con i balenieri ma già coi primissimi
esploratori. Nell'edizione francese dei Viaggi di James Cook si può
vedere, ad esempio, un'incisione che mostra la Resolution e la Discovery
alla fonda presso le isole Kerguélen, e alcuni marinai inglesi
che si accingono, armati di bastone, a uccidere un gruppo d'ignari
pinguini per incrementare le scorte di carne delle due navi.
15) Cfr. C. Wilson, op. cit., pp. 128-29.
16) Cfr. E. Newby, op. cit., p. 238. Il Polo Nord magnetico venne
localizzato a 70° 05' Nord e 96° 46' Ovest.
17) Vedi S. Zavatti, Dizionario degli esploratori e delle scoperte
geografiche, Milano, Feltrinelli, 1967, pp. 244-45.
18) Vedi S. Zavatti, L'esplorazione dell'Antartide, Milano, Mursia,
1974, p. 40 sgg.; e A. Solmi, Gli esploratori del Pacifico, Novara,
De Agostini, 1985, p.221 sgg.
19) "Le istruzioni di Ross erano di impiantare osservatori magnetici
fissi a St. Elena, al Capo di Buona Speranza, all'isola Kerguélen
ed in Tasmania. Quindi nell'estate australe del 1840-41, di procedere
direttamente verso Sud allo scopo di determinare la posizione del
Polo magnetico, e addirittura raggiungerlo se possibile…"
(da E. Newby, op. cit., p. 252). Penetrato nella banchisa come nessuno
prima di lui aveva fatto, con un misto di abilità e di fortuna
veramente eccezionali giunse fino a 76° 12' Sud e 164 Est, a sole
160 miglia dal Polo magnetico Sud, prima che la gigantesca Barriera
di ghiaccio che oggi porta il suo nome lo costringesse a volgere nuovamente
il la barra verso la Tasmania.
20) Cfr. F. Lamendola, Terra Australis Incognita, in Il Polo, vol
3, 1989, pp. 51-58; id., Mendana De Neira alla scoperta della Terra
Australe, vol. 1, 1990, pp. 19-24.
21) Cit. da Ch. de La Roncière, op. cit., p. 262.
22) I due viaggi di Y. J. de Kerguélen-Trémarec furono
comunque, in un certo senso, preparatorii del terzo grande viaggio
di James Cook. "Mentre si svolgeva il secondo grande viaggio
del Cook, erano intanto rientrati in Francia il Kerguélen-Trémarec
ed il comandante Crozet - succeduto al Marion Dufresne ucciso alla
Nuova Zelanda - ed avevano quindi riferito delle loro scoperte di
nuove terre nella zona dell'Oceano Indiano che sta a mezzogiorno dell'isola
Maurizio. Il Cook ebbe ordine di investigare intorno a quelle terre,
evidentemente perché fosse tolto il dubbio se non rappresentassero,
per caso, avamposti - non più di una Terra Australe - ma per
lo meno del supposto continente antartico." Così G. Dainelli,
La conquista della Terra, Torino, U.T.E.T,, 1954, p. 378.
23) Cit. da S. Zavatti, L'esplorazione dell'Antartide, cit., p. 22.
24) Crediamo sia di qualche utilità, al fine di meglio comprendere
quanto diremo sulla improbabilità che le impronte di zoccoli
trovate da J. C. Ross fossero di qualche animale domestico importato
dai balenieri e poi rinselvatichito, riportare l'opinione espressa
nel 1776 dal capitano Cook circa un eventuale allevamento di animali
domestici sull'isola Kerguélen. "Cook e alcuni suoi uomini
sbarcarono e trovarono una spiaggia arida e infeconda che sconsigliò
l'abbandono di qualcuno degli animali di bordo perché sarebbe
stato condannarli a una morte sicura. Cook affermò anche, nel
suo diario, che nessun altro essere vivente avrebbe potuto vivere
in quella terra, all'infuori degli uccelli e delle foche." Cit.
da S. Zavatti, I viaggi del capitano James Cook, Milano, Schwarz,
1960, p. 161.
25) Le specie di pinguino esistenti sono 18, di cui 3 si riproducono
esclusivamente a sud della Convergenza antartica, mentre 4 nidificano
sia a nord che a sud di essa.(cfr. B. Stonehouse, op. cit., p. 88.)
e le altre si spingono ancora più a nord, fino alla linea dell'Equatore
(nel caso delle Galàpagos). Vedi anche Grande atlante degli
animali, tr. it.Novara, De Agostini, 1974, pp. 158-59; e H.-W. Smolik,
Enciclopedia illustrata degli animali, tr. it. Milano, Feltrinelli,
1982, pp. 828-832.
26) Cfr. S. Zavatti, I Poli, cit., p. 210.
27) Cfr. C. Wilson, op. cit., p. 128. Per una raffigurazione delle
impronte del Devonshire, così come furono riportate da The
Illustrated London News, si veda Nel mondo dell'incredibile, tr. it.
Milano, Selezione dal Reader's Digest, 1980, p. 377.
28) "Nel 1922-23 il baleniere americano Benjamin Morrel compì
il primo sbarco nell'isola Bouvet, oltre ad aver avvicinato altri
degli arcipelaghi subantartici, ormai scoperti da decenni; e nella
campagna di caccia 1824-25 l'inglese Edward Hughes rilevò cartograficamente
una baia, che porta adesso il suo nome, in quella che poi fu detta
Terra di Graham; ma l'avventura maggiore toccò al capitano
inglese Sinclair, che nel 1825-26 fece naufragio nell'arcipelago delle
Kerguélen, e con tutto il suo equipaggio fu costretto a passarvi
tre anni prima di esserne rilevato: tre anni, però, che permisero
una serie di osservazioni sulle condizioni naturali di quelle isole
quasi sperdute nell'Oceano Indiano meridionale." Così
S. Zavatti, L'esplorazione dell'Antartide, cit., p. 33.
29) Attualmente le Kerguélen sono gravemente infestate dal
ratto alessandrino, dal topolino delle case e dal coniglio, che è
diventato molto nocivo per la vegetazione naturale. "Dopo le
introduzioni deliberate, l'uomo ha cercato di togliere dalla circolazione
le specie introdotte, almeno in alcuni casi, anche se l'introduzione
alle Kerguélen della renna e del muflone data solo al 1955
e al 1957 e non ha perciò molte scusanti se non quella di una
colpevole leggerezza o di una pericolosa sperimentazione." Cit.
da L. Boitani - S. Bartoli - L. Beani, op. cit., p. 95.
30) Cfr. P. Lenoir, Ile Maurice, ancienne isle de France, Port Louis
(Mauritius), Edit. Du Cygne, 1979, p. 17.
31) E' il cosiddetto "rasoio" di Ockham (così chiamato
dai discepoli di Guglielmo di Ockham, 1290 circa - 1348 o 1349, uno
dei più grandi filosofi del Medio Evo). Si tratta di un principio
metodologico di "economia", "secondoil quale è
dannoso e inutile moltiplicare gli enti, creando realtà in
soprannumero rispetto a quelle da spiegare, come quando, per voler
intendere l'uomo, si ricorre ad esempio all'idea platonica di Umanità".
Per inciso, "questo principio di economia, connesso a quello
empiristico, porta Ockham a rifiutare gran parte delle nozioni metafisiche,
ritenute inverificabili o inutili." Cit. da N. Abbagnano - G.
Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, Torino, Paravia, 1992,
vol. 1, p. 426.
32) "Secondo Kuhn, per comprendere lo sviluppo dell'attività
scientifica è necessario distinguere le fasi di 'scienza normale'
da quelle di 'rottura rivoluzionaria'. Le prime sarebbero caratterizzate
dal dominio di certi 'paradigmi', ossia da un insieme - più
o meno omogeneo e strutturato - di assunzioni teoriche e metafisiche,
di pratiche sperimentali e di modi di trasmissione dei contenuti della
scienza. Durante tali fasi i paradigmi non sono messi in discussione
ma vengono sistematicamente applicati, ampliati e approfonditi per
produrre delle spiegazioni e delle previsioni scientifiche adeguate.
I momenti rivoluzionari invece si hanno quando - a causa delle sempre
crescenti 'anomalie' di tipo sia empirico sia concettuale cui va incontro
il paradigma comunemente accettato - gli scienziati ne mettono in
questione gli assunti fondamentali e vanno alla ricerca di un nuovo
sistema di assunzioni logico-linguistiche e teorico-sperimentali."
Cit. da Enciclopedia Garzanti di Filosofia, 1992, p. 491. In realtà
le cose non sono (crediamo) così semplici perché in
tutte le epoche, sia della 'scienza normale', sia della 'rottura rivoluzionaria',
esiste una "zona grigia" ove allignano scienze e teorie
elaborate da eterodossi scientifici; scienze e teorie non riconosciute,
marginalizzate, alternative alla scienza ufficiale; scienze e teorie
dimenticate, scomparse, abortite; scienze potenziali, ai confini di
altre scienze; scienze e teorie bizzarre avanzate da studiosi accademicamente
riconosciuti; scienze occulte, paranormali, magiche, religiose; e
infine pseudoscienze. Ma su tutto ciò, si veda P. Albani -
P. della Bella, Forse Queneau. Enciclopedia delle scienze anomale,
Bologna, Zanichelli, 1999: opera quasi unica, nel suo genere, in Italia;
e anche R. Giovannoli, La scienza della fantascienza, Milano, Bompiani,
1991..
33) Vedi C. e D. Wilson, Il grande libro dei misteri irrisolti, tr.
it. Roma, Newton & Compton, 2002, pp. 267-270, che contiene una
carta dettagliata delle località in cui furono trovate le impronte.
34) "Morris K. Jessup, l'ufologo morto in circostanze misteriose
nel 1959, avanza l'ipotesi che le impronte trovate nel Devon fossero
state lasciate da un qualche tipo di oggetto volante, facendo rilevare
che, dal racconto fatto da un testimone, queste, così chiaramente
impresse nella neve, potevano essere state originate solo da un mezzo
meccanico. Jessup, in base a queste osservazioni, suggeriva che le
impronte potevano essere state fatte da un veicolo che, volando a
bassa quota, riusciva a mantenere la distanza dal terreno grazie a
una specie di radar. Questa ipotesi spiegherebbe l'esistenza di impronte
sui tetti, al di là di muri e fienili:" Da C. Wilson,
Realtà inesplicabili, cit., pp. 129-30.
35) Cfr. C. Wilson, op. cit., p. 129.
36) Per puro scrupolo di completezza, ricordiamo che le isole Kerguélen
sono state al centro, in anni recenti, di un caso clamoroso di "visione
lontana", caratteristica facoltà di percezione extrasensoriale
da parte di soggetti particolarmente dotati. Nel 1972 alcuni ricercatori
dello Stanford Research Institute chiesero al sensitivo americano
Ingo Swann di visualizzare col pensiero una località posta
a 49°20' Sud, 70°14' Est, corrispondente alla base meteorologica
franco-sovietica (e che lui, ovviamente, non aveva mai visitato).
Swann fu in grado di descrivere la base con molti dettagli, poi fece
addirittura uno schizzo dell'isola. "Basta un'occhiata superficiale
per rendersi conto che in generale c'è un perfetto riscontro:
la forma, la descrizione del territorio, la montagna con la cima coperta
di neve, che sicuramente si identifica con il monte Ross e il ghiacciaio
Cook che si innalzano a duemila metri sul livello del mare."
Da F: Hitching, Atlante dei misteri, tr. it. Novara, De Agostini,
1985, pp. 66-67-68 (in cui è riportato anche il disegno di
Swann e confrontato con la carta geografica dell'isola).
37) Cfr:, tra le molte (troppe) opere sull'argomento, M. Hesemann,
Il mistero dei cerchi nel grano, tr. it. Roma, Mediterranee, 2002,
e I nuovi cerchi nel grano, id., 2002, con un ricco apparato di fotografie.
38) Esiste una ricca bibliografia sui reperti archeologici "impossibili".
Qui ci limiteremo a ricordare pochi testi base: L. Burgin, Archeologia
misterica, tr. it. Casale Monferrato, Piemme, 2001, e Archeologia
eretica, id., 2004; P. Haining, Antichi misteri, tr. it. Milano, Sperling
& Kupfer, 1997; R. Habeck, Il libro degli antichi misteri, tr.
it. Roma, Newton & Compton, 2004; D. Hatcher Childress, Le scoperte
scientifiche delle antiche civiltà tr. it. Roma, Newton &
Compton, 2003.
39) Matteo, XIII, 13. Espressione che, sia detto per inciso, sembra
dar ragione a quanti vedono nelle parabole di Gesù una forma
d'insegnamento esoterico avente però l'apparenza di un insegnamento
essoterico; mentre l'esoterismo della filosofia greca aveva senz'altro
la forma di una dottrina distinta e diversa da quella riservata ai
non iniziati.
40) Magistrale rimane, a quasi due secoli di distanza, il Saggio sopra
gli errori popolari degli antichi, scritto dal diciassettenne Giacomo
Leopardi nel 1815 con un immenso bagaglio di erudizione, ma anche
d'intelligenza e di spirito d'osservazione; benché in parte
viziato da un caratteristico preconcetto razionalistico di matrice
illuminista.
Attenzione: Vietata la riproduzione, anche parziale degli articoli presenti nel sito senza l'autorizzazione del webmaster. Per informazioni scrivere QUI.
Collabora anche tu!
Se hai un articolo scritto da te, di tuo pugno, privo di copia incolla o comunque con l'indicazione della fonte invialo al webmaster che lo esaminera' e potrà pubblicarlo in questo sito. Grazie.