Azzurrina il fantasma del castello di Montebello(RN)

Azzurrina il fantasma del castello di Montebello, Rimini.

Rimini in Emilia Romagna è una città molto nota grazie alla sua posizione sul mare. La città è meta turistica molto apprezzata da italiani e stranieri per il mare ed i divertimenti diurni e notturni.

Ma tra le attrazioni turistiche vi è un castello ricco di mistero su cui vi è una leggenda.

Il castello si trova a Montebello di Torriana del comune di Poggio Torriano e la leggenda narra la storia della bambina Guendalina Malatesta nota come Azzurrina.

Azzurrina il fantasma del castello di Montebello, Rimini.

La leggenda di Azzurrina.

La leggenda racconta la storia di Azzurrina, una bambina nata albina figlia di Uguccione o Ugolinuccio di Montebello nel XVII secolo nel 1370.

Nascere albini all’epoca era considerato un evento molto strano a cui venivano attribuiti anche sinistri presagi di carattere satanico. Per questo motivo Azzurrina era obbligata a rimanere isolata dalla società e suo padre era costretto a farla sempre controllare a vista da due guardie.

Il controllo perenne della bambina era necessario anche per evitare eventuali aggressioni nei suoi confronti da parte di persone che non la desideravano perché considerata per l’appunto al pari di una figura demoniaca.

La madre di Azzurrina, Costanza, per ovviare al colore bianco dei capelli della figlia li tingeva di nero. All’epoca i capelli venivano tinti con pigmenti di origine naturale che sul capello albino non riuscivano però ad attecchire correttamente. La tinta non colorava di un nero reale i capelli di Azzurrina ma ottenevano un colore azzurro tendente al verde con riflessi azzurri. Dai suoi capelli quasi azzurri e gli occhi del medesimo colore la bambina ebbe il soprannome di Azzurrina.

Illustrazione di una ragazza con capelli e occhi azzurri. Foto di prettysleepy1 da Pixabay

Azzurrina il fantasma del castello di Montebello, Rimini.

Azzurrina era costretta a compiere ogni cosa da sola, non poteva avere amici e giocava sempre in solitudine. Un giorno mentre giocava con una palla composta da stracci durante un temporale ne perse il controllo e la stessa cadde nella scala che portava alla ghiacciaia sotterranea del palazzo.

La ghiacciaia era protetta da una botola.

Il fato volle che in quel momento Azzurrina era sola, le guardie erano distratte, e la bambina entrò nella ghiacciaia da sola. Le guardie udirono un grido della bambina, ma una volta giunti sul posto Azzurrina era scomparsa. Della bambina non trovarono nessun segno del suo passaggio, anche il suo corpo e la palla di stracci non furono mai ritrovati nonostante l’accesso alla ghiacciaia era uno solo. L’età precisa di Azzurrina non è nota si suppone sia tra i cinque e i sette anni.

Ogni cinque anni la leggenda vuole che si senta la voce di Azzurrina echeggiare nel castello di Montebello e che anche il suo fantasma si aggiri tra le mura. Sempre secondo la leggenda è possibile “vedere” e “udire” il fantasma di Azzurrina il giorno del solstizio d’estate il 21 giugno. Il 1375 è l’anno in cui Azzurrina è morta.

La teoria dell’adulterio

Non è da escludere che Azzurrina in realtà non fosse la reale figlia di Uguccione. Questa teoria afferma che Uguccione fosse un dongiovanni e la moglie una donna di facili costumi. Quindi dato che nella famiglia nessuno era albino e nessuno aveva i capelli chiari Azzurrina potrebbe essere figlia di un adulterio da parte della moglie di Uguccione. Azzurrina secondo questa teoria aveva i capelli biondi non bianchi.

Per l’uomo sarebbe stato un disonore da tenere nascosto, anzi il colore azzurro dei capelli della piccola erano più plausibili dei capelli biondi. L’ uomo affermava che i capelli stavano diventando neri da biondi. La bambina divenne un probabile ostacolo da eliminare dalla sua vita. Uguccione visse con la moglie in attesa di un figlio maschio che ebbe infine da una concubina. Dopo la morte della bambina Uguccione ha ripudiato la moglie rinchiudendola nel castello di Gradara fino al giorno del suo assassinio.

Una coincidenza?

La ristrutturazione del castello.

Infine i primi veri riferimenti alla leggenda di Azzurrina risalgono al 1989 nel periodo in cui il castello fu ristrutturato e aperto al pubblico a pagamento. È possibile certi giorni dell’anno con una guida visitare il castello di notte.

Il castello è diventato molto noto ed è diventato un monumento nazionale italiano.

Sono molti i cacciatori di fantasmi che provano a registrare la voce di Azzurrina o perlomeno a dimostrare l’esistenza di un’entità nel castello. Effettivamente delle registrazioni sono andate a buon fine e i turisti le possono ascoltarle in loco ed è possibile trovarle in Internet.

Di seguito le registrazioni di Azzurrina negli anni in un video su YouTube.

I folletti di Montebello.

Nonostante tutte le supposizioni sulla veridicità o meno della leggenda di Azzurrina il borgo è ricco di tradizioni. Folletti e fate si fanno sentire di notte con pianti e inquietanti rumori.

Conclusioni:

Della leggenda di Azzurrina non vi è alcun cenno storico che ne comprovi l’ effettivo svolgimento.

La storia della bambina è stata tramandata sempre oralmente anche il nome della bimba originariamente sembra sia stato Adeline, forse un diminutivo di un nome come Adele? Un parroco scrisse un documento scritto per la prima volta in cui raccontava la storia di Adeline. Ma di questo documento non vi è alcun riscontro nella realtà.

Approfondimenti:

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Il ponte del Diavolo nel parco del Frignano, Modena

Il ponte del Diavolo nel parco del Frignano, Modena

Ad un altezza di circa 500 metri sito al confine tra la regione Toscana ed Emilia Romagna sul livello del mare nell’alto Appennino modenese vi è il parco del Frignano.

Il parco del Frignano si sviluppa con un estensione di circa quindici mila ettari di terreno. Il parco include nella sua estensione sette città modenesi: Fiumalbo, Frassinoro, Fanano, Pievepelago, Riolunato, Sestola e Montecreto.

Una ricca biodiversità di flora e fauna caratterizza questo parco regionale. E’ un parco naturale ricco ad esempio di laghi di origine glaciale e boschi di conifere. Inoltre numerosi borghi caratteristici e storici ne arricchiscono ulteriormente il territorio.

Il ponte del Diavolo nel parco del Frignano, Modena

Una sorta di ponte di roccia formato da un unico monolite è celato dal parco del Frignano in una zona di fitti boschi nota come “Selva di Brandola” . Il monolite sembra essere stato trascinato a valle, forse dal Diavolo in persona? La strana struttura prende il nome di Ponte del Diavolo o Ponte d’Ercole e si trova nei pressi delle città di Polinago, Pavullo e Lama Mocogno.

Il Ponte del Diavolo è segnalato dalla cartellonistica stradale come Ponte d’Ercole.

Il nome Ponte d’Ercole deriva probabilmente da una figura della mitologia romana. Secondo un’altra leggenda forse solo il mitologico e fortissimo Ercole avrebbe potuto trascinare la roccia nel bosco per creare il ponte.

Illustrazione di un Ponte e del Diavolo. Foto di ParallelVision da Pixabay

La leggenda

L’entità maligna, secondo la leggenda, creò il ponte utilizzando un gigantesco monolite. Lo scopo dell’opera era quello di poter aiutare un pastore ad attraversare la zona in cambio della sua preziosa anima. Però il Diavolo non sopravvive alla luce del sole e probabilmente per questo motivo ha lasciato la sua opera a metà all’alba.

Il Diavolo doveva allontanarsi in fretta dal posto prima dell’alba. Il tempo per costruire il ponte era scaduto.

Il Ponte del Diavolo è composto da roccia arenaria ed è lungo trentatrè metri ed alto tre metri e largo dai due ai tre metri in modo costante. E’ possibile percorrere il ponte di pietra a piedi. La sua conformazione è ad arco e ricorda quella di un vero e proprio ponte sollevato dal terreno.

Secondo studi recenti la zona era stata abitata in passato, sono stati ritrovati reperti di uso comune in ceramica. Con molta probabilità il monolite a causa della sua curiosa conformazione creato per opera degli eventi atmosferici era utilizzato per effettuare dei rituali non ben definiti.

Forse si trattava di riti di origine pagana.

Nel mondo i ponti con lo stesso nominativo sono molto comuni e sono anche opere chiaramente create dall’uomo. Anche la leggenda è sempre similare, talvolta il diavolo aiuta le persone a costruire i ponti in cambio di qualcosa.

Sono innumerevoli i ponti che sono denominati Ponte del Diavolo in Italia e nel mondo, tutti con una leggenda di base molto simile. In queste epoche molto diverse dalla nostra costruire opere architettoniche di dimensioni notevoli era considerato un impresa quasi non umana.

Il ponte del Diavolo nel parco del Frignano, Modena

Di seguito un video su Youtube sul Ponte d’Ercole o Ponte del Diavolo nel modenese:

Il Ponte del Diavolo a Borgo Mozzano, Lucca.

Un altro esempio è il Ponte della Maddalena  in un borgo a Mozzano in provincia di Lucca in Toscana ed è noto anch’esso come Ponte del Diavolo. Il Diavolo secondo la leggenda ha aiutato San Giuliano, il suo costruttore in quanto l’uomo non riusciva a completare la complessa l’opera. Il Diavolo chiese in cambio l’anima del primo essere vivente che avrebbe attraversato il ponte. Alla fine della costruzione però San Giuliano riuscì a trarre in inganno il Diavolo lanciando un pezzo di focaccia ad un cane che attraversò per primo il ponte.

Ponte del Diavolo nel Borgo a Mozzano, Lucca Foto di Fulvio Zeppetella da Pixabay

Il Ponte del diavolo a Cividale del Friuli.

Un altro esempio è in Friuli- Venezia- Giulia ed è il Ponte del Diavolo  o Puìnt dal Diàul in dialetto friulano e si trova a Cividale del Friuli in provincia di Udine. il ponte ha come base delle rocce naturali nel letto del fiume Natisone.

La leggenda narra che i cittadini chiesero aiuto al Diavolo con un patto identico a quello sottoscritto da San Giuliano durante la costruzione del ponte nel Borgo di Mozzano. Anche in questo caso il Diavolo dovette accontentarsi dell’anima di un animale fatto passare per primo sul ponte.

Il ponte del Diavolo a Bobbio, Piacenza.

Anche a Piacenza più precisamente a Bobbio vi è Il Ponte Gobbo o Ponte Vecchio o Ponte del Diavolo, stessa identica leggenda con il diavolo ripagato dell’anima di un animale. In questo caso il Diavolo si è fatto aiutare da piccoli Diavoletti aiutanti in seguito in preda alla rabbia dopo il tranello subito diede un calcio al ponte. la struttura in effetti risulta un pò storta in un punto forse è dove l’ha colpita il Diavolo.

Curiosità:

Di seguito leggi l’articolo sulle cascate del Bucamante a Serramazzoni di Modena

Visita la sezione del sito su i Misteri in italia e nel mondo.

I misteri del Duomo di Modena e l’osso del drago.

I misteri del Duomo di Modena in Emilia Romagna

Il Duomo di Modena, che fa parte dell’Unesco, si affaccia su una piazza denominata Piazza Grande. E proprio dalla piazza è chiaramente visibile in esposizione all’esterno della cattedrale un osso gigantesco e ricurvo la cui tradizione modenese lo attribuisce ad un drago. A partire dal 1518 vi è la prima nota scritta che fa riferimento alla scoperta di questo osso definito di drago.

Probabilmente le ossa sono state rinvenute durante scavi effettuati presso il Duomo. Di quest’ osso voci di popolo ne narrano dell’esistenza da molto prima del 1518.

Per poter visionare l’ipotetico osso di drago è sufficiente individuare la statua di San Geminiano santo patrono della città di Modena. Dietro la statua, situata sopra la Porta Regia è conservato l‘osso di drago chiaramente visibile dal centro della piazza.

I misteri del Duomo di Modena in Emilia Romagna

Il duomo di Modena. Foto di Ermanno Ferrarini da Pixabay

In seguito la scoperta dell’ipotetico osso di drago i modenesi temevano che lo stesso potesse manifestarsi realmente alla popolazione. Una leggenda afferma che il ritrovamento di ossa sepolte è la causa del ritorno del proprietario delle ossa stesse.

Il drago poteva quindi rinascere ed arrivare nella città?

Non a caso la statua del santo protettore della città, San Geminiano, è posizionato nei pressi dell’osso. La statua si trova lì proprio per evitare che il drago si possa risvegliare e reclamare il suo osso.

Conclusioni:

La città di Modena nell’antichità era sommersa dal mare, quindi l’osso di drago è in realtà di un cetaceo. L’osso è stato attribuito ad una balena preistorica. Tutto l’Appennino modenese era sommerso dal mare infatti non è raro trovare conghiglie ed altre ossa attribuibili ad animali marini, anche in Piazza Grande a Modena.

Curiosità sul Duomo di Modena.

Il Duomo di Modena è una cattedrale ricca di mistero anche al suo esterno ed al suo interno. E’ possibile trovare la rappresentazione di mostri dell’epoca ad esempio vi è quella di un uomo a tre braccia, di una sirena a due code ed altre creature mostruose.

I mostri rappresentano i peccati dell’uomo da cui si deve salvare.

Il mistero di Re artù raffigurato in bassorilievo sulla Porta della Peschiera.

Questa rappresentazione risulta essere una delle più antiche dell’Italia all’inizio del XII secolo. Il mistero in questo caso è che secondo gli storici il periodo in cui è stata realizzata l’opera.

Il periodo della realizzazione non coincide con le cronache dello storico e scrittore britannico Goffredo di Monmouth del 1138. Quindi non è chiaro se si tratti di Re Artù o Carlo Magno. Carlo Magno sopraggiunse a Modena nell’anno 774.

La tomba misteriosa nella cripta della cattedrale

Nella cripta del Duomo di Modena vi è una lapide di una donna di origine tedesca nota come lapide di Gundeberga. La donna è deceduta il 12 giugno dell’anno 570 e le incisioni sulla lapide sono ormai consumate e non più comprensibili. Questa donna è l’unica persona non ecclesiastica che si trova nella cripta della cattedrale modenese.

Riguardo questa lapide sono state fatte delle supposizioni alquanto bizzarre, ovvero che possa trattarsi di una lapide posta tra in un portale spazio temporale. La cripta stessa è stata definita come una sorta di portale tra due mondi.

Il mistero della lapide di Gundeberga ruota attorno alla dicitura dell’anno 570 d.c. Inserire la dicitura dell’anno ed i nominativi dei consoli, del monarca e dell’ imperatore, come sulla lapide in questione, presenti in quel momento storico era usanza dell’antica Roma che in quel periodo storico era però già non più esistente dal 22 agosto del 476 d.c.

Quindi com’era possibile che questa dicitura fosse presente sulla lapide?

La donna forse non era di questo mondo?

Il mistero della donna con 42 figli.

Tra i vari “mostri” scolpiti all’esterno del Duomo vi è un uomo bisessuato noto come Potta di Modena. Si tratta di una donna o un ermafrodito che ebbe 42 figli di nome Antonia. Il mistero di Antonia è nelle tempistiche delle gravidanze, la vita all’epoca era molto più breve e questa persona sarebbe stata esageratamente longeva.

L’aspettativa di vita si aggirava sui 27 anni, raramente le persone giungevano in vita fino ai 50 anni. La causa della morte era spesso dovuta a malattie dentali, deformazioni ossee, diete alimentari scorrette e sovrafollamento nelle insicure e poco igieniche abitazioni.

L’indiano raffigurato nel Duomo.

Un ulteriore mistero nel Duomo è dato dalla raffigurazione di un uomo dai capelli lunghi e barba e dai tratti orientaleggianti tipicamente indiani. L’uomo sembra stia praticando una posizione ben precisa della disciplina nota come yoga.

Ma com’era possibile che i modenesi avessero contatti con la civiltà indiana tramite i mezzi di trasporto dell’epoca? Questa non è l’unica raffigurazione in bassorilievo nota anche come metope che raffigura paesi molto lontani dall’Italia.

Conclusioni:

Questi sono solo alcuni dei misteri che circondano il Duomo di Modena, la cattedrale ne nasconde altri.

Curiosità:

Leggi l’articolo sul drago Magalasso a Spilamberto di Modena, Emilia Romagna.

Leggi l’articolo sulle cascate del Bucamante a Serramazzoni di Modena.

La casa dalle cento finestre a Modena, Emilia Romagna

Approfondimenti:

Visita la sezione sulle strane creature in Italia e nel mondo.

La leggenda del lago della Ninfa a Sestola, Modena

La leggenda del lago della Ninfa a Sestola, Modena

A Sestola nell’Appennino modenese vi è il lago della Ninfa a 1500 metri di altezza che si trova ai piedi del Monte Cimone.

Il lago della Ninfa è arricchito oltre che dal suo aspetto molto caretteristico circondato da boschi di conifere da una leggenda nella leggenda. Questo lago è caratteristico per le sue acque cristalline con riflessi verde smeraldo.

La leggenda vuole che il re dei Gorghi conobbe una pastorella bellissima ma non fu corrisposto. In un momento di rabbia il Re lanciò una maledizione sulla giovane ragazza per cercare di impedire che ella potesse innamorarsi di un altro uomo. Nella maledizione il Re disse che la ragazza era una Ninfa.

Un giorno un cacciatore vide la pastorella e i due si innamorarono perdutamente. Il cacciatore guardava la sua amata ormai imprigionata come una ninfa nel lago dalla riva ed ella per raggiungerlo costruì un ponte fino alla riva.

Ma purtroppo con il peso dei due innamorati, che non riuscirono nemmeno ad abbracciarsi, il ponte si ruppe facendo precipitare la coppia nel lago.

Infine la morte si impossessò di loro.

Illustrazione di una ninfa nel lago. Foto di Pablo Elices da Pixabay

La leggenda del lago della Ninfa a Sestola, Modena

La leggenda vuole che da questa storia gli uomini che si avvicinano al ponte ancora oggi possono udire i lamenti strazianti della Ninfa.

La Ninfa avrebbe due bellissimi ed incantatori occhi verdi.

Gli uomini secondo la leggenda raccontano di sentirla cantare per attirare i cacciatori ed i contadini della zona per farli innamorare di lei.

E nel momento in cui la Ninfa appare al loro sguardo la bellissima creatura lancia loro un ponte di cristallo per raggiungerla.

Secondo la leggenda però il ponte di cristallo si rompe ogni volta al passaggio di qualsiasi uomo, il quale muore per annegamento.

Approfondimenti:

le Ninfe sono creature dei boschi e fanno parte del piccolo popolo. Di seguito l’articolo sul piccolo popolo nel sito.

Di seguito visita la sezione del sito su i misteri in Italia e nel mondo

La leggenda delle cascate del Bucamante, Modena

La leggenda delle cascate del Bucamante, Modena

La tragica storia d’amore tra Titiro e Odina e le cascate del Bucamante nell’appennino modenese a Serramazzoni, Modena.

Immagine rappresentativa di cascate nel bosco. Foto di David Mark da Pixabay

Modena.

Il territorio dell’Emilia romagna è ricco di leggende e miti legati al mondo del paranormale.

A Serramazzoni nell’Appennino modenese vi sono le cascate del Bucamante. sono da sempre meta molto frequentata dalla popolazione locale e turisti. L’ambientazione delle cascate è molto caratteristica e le cascate sono immerse nel bosco.

La leggenda modenese narra che in un lontano passato una dama di nome Odina era solita passeggiare nel bosco in compagnia della sua domestica. Un giorno durante una passeggiata nel bosco incontrò il giovane e bello Titiro. Titiro di mestiere era un pastore ma nonostante il differente rango sociale i due giovani ragazzi si innamorarono perdutamente l’uno dell’altra.

La leggenda delle cascate del Bucamante, Modena.

I due giovani innamorati organizzarono degli incontri quasi segreti, non erano segreti perchè Odina doveva portare con sè la domestica per non destare sospetti nei riguardi della sua famiglia.

Secondo la leggenda la domestica denunciò ai genitori della giovane, il re Guidobaldo e la moglie Elvira,  ciò che stava facendo di nascosto la giovane loro figlia Odina, frequentare Titiro. In seguito a questa scoperta, per l’epoca disonorevole, la giovane fanciulla fu rinchiusa dai suoi genitori all’interno del castello.

Odina riuscì a fuggire dalla sua condizione di prigionia e a raggiungere il suo amato Titiro. Ma quando i due si incontrarono si resero conto che i castellani li stavano cercando e che il loro era un’amore impossibile.

Per questo motivo in uno stretto abbraccio d’amore i due giovani amanti si gettarono nel vuoto nella cascata del Bucamante. In questo modo i due giovani innamorati poterono restare uniti per l’eternità.

Il nome della cascata Bucamante deriva da questo evento: La buca degli amanti in dialetto locale Busamante.

Secondo la leggenda nel gettarsi dalla cascata i due amanti con il loro peso crearono una vera e propria voragine su cui cade la cascata.

In onore di questa storia vi sono due sentieri che si chiamano come i due amanti: il sentiero Odina ed il sentiero Titiro.

Secondo la leggenda certi giorni nel silenzio si odono le voci felici dei due amanti nei pressi della cascata.

Curiosità

Sempre nel modenese leggi l’articolo sul drago Magalasso a Spilamberto.

Di seguito visita la sezione sulle Curiosità del sito con i luoghi misteriosi e le scoperte più strane nel mondo.

La teoria dei gatti alieni che spiano l’uomo

La teoria dei gatti alieni che spiano l’uomo

Una delle  teorie cospirazioniste più curiose è quella che i gatti siano in realtà forme di vita aliene con il compito di spiare la vita dell’uomo.

In base a quale elementi questa teoria ha preso vita anche nel mondo dell’ufologia?

I gatti assomigliano agli alieni grigi: se le loro orecchie sono tirate all’indietro i loro occhi si allungano ed assomigliano in modo notevole a questa tipologia di forma aliena.

Ma i gatti sono spie degli esseri umani? In che modo agiscono?

I gatti sono animali che una volta ben insediati nelle abitazioni vedono ogni cosa che accade intorno a loro. E se fosse vero che al loro interno è nascosto un alieno ricoperto da una sorta di involucro a forma di gatto?

Illustrazione di un gatto con gli occhiali. Foto di cristofer angello caballero thorne da Pixabay

Questi animali comandano gli esseri umani?

I gatti comandano e governano le azioni degli esseri umani in quanto ogni loro desiderio è esaudito in brevissimo tempo, dal bisogno di cibo alla pulizia della loro lettiera ed altri gesti di cura del “finto gatto“.

Per quale motivo i gatti fanno le fusa?

Alcun scienziato è mai riuscito a spiegare la funzione delle cosidette “fusa”, potrebbero essere il segnale con cui le spie gatto comunicano con i loro simili o con la base aliena di cui fanno parte? Recentemente gli studi in merito le fusa dei gatti hanno fatto passi avanti. Forse si tratta di un’evoluta tecnologia aliena?

Per quale motivo i gatti vedono molto bene, anche al buio?

Il motivo potrebbe essere quello di poter registrare ogni informazione riguardante i loro studi in ogni momento del loro stato di veglia.

I gatti hanno particolari proprità salvavita per loro stessi? Non a caso si dice che abbiano sette vite o addirittura nove nelle zone anglosassoni.

Per quale motivo i gatti si svegliano all’improvviso scappando incontrollati?

Forse perché in quel momento devono comunicare urgentemente con i loro superiori?

L’ufologo di origine russa Oleg Pishkin è convinto che i gatti siano gatti alieni e i punti sopra riportati ne confermerebbero la teoria.

Inoltre Oleg Pishkin afferma che i gatti possono mangiare i loro padroni se muoiono con in casa i felini e secondo lui tutto ciò che fuoriesce da un gatto non è naturale. Vi sono realmente casi documentati di animali, tra cui gatti in colonie, che si sono nutriti dei cadaveri dei loro padroni in mancanza di cibo.

Pishkin afferma che un gatto su tre non è un gatto ma un alieno spia travestito da gatto. Infine prima dell’Antico Egitto non vi sono prove della reale esistenza dei gatti. Neanche la Sacra Bibbia nomina questi animali. Quindi quando sono apparsi sulla terra?

La teoria di quest’uomo sembra quasi spiritosa ma è una reale teoria cospirazionista.

Sul canale di YouTube di ChupaCabraMania il video su questa curiosa teoria.

Approfondimenti:

Visita la sezione del sito sulle Curiosità e la sezione sui Gatti Demoniaci del sito

Scopri il libro “Le strane creature e i misteri in Italia e nel mondo” di Erika Di Cuonzo

Di seguito il BookTrailer sul canale YouTube di ChupaCabraMania.com. Il libro è disponibile su Amazon.

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La casa dalle cento finestre a Modena

La casa dalle cento finestre a Modena

In Italia in Emilia Romagna a Modena vi è una leggenda molto nota su una villa nel modenese.

Modena.

La villa si chiama Villa Buonafonte ma è anche nota come “La casa dalle cento finestre“.

Le leggende nel modenese narrano che questa villa molto grande, che si trova in via Vignolese nei pressi di San Damaso, sia legata al mondo del paranormale. Non vi è solo una leggenda sono tre.

La villa è del settecento ed è stata di proprietà della famiglia dei conti Bentivoglio fino al 1980. La famiglia Bentivoglio è stata l’ultima serie di proprietari che ha abitato la casa.

Ma i proprietari della villa sono deceduti, uccisi o suicidi e qualcuno di loro è caduto in rovina economica. La villa è stata abbandonata e il suo splendore è andato offuscandosi negli anni. L’edificio è diventato un luogo fatiscente ed inquietante considerato malefico dagli abitanti locali. Numerosi atti vandalici sono stati effettuati sull’abitazione mentre si trovava in stato di abbandono.

Si dice che in questa gigantesca villa affrescata al pian terreno, che ha ospitato nei suoi tempi migliori figure nobili ed illustri come ad esempio i duchi di Modena Francesco IV e Francesco V e la figlia di Luigi XVI, la duchessa di Angoulême e tanti altri sia diventata un luogo di perdizione.

Si dice che talvolta al suo interno venivano effettuate messe a sfondo satanico.

Persone che credono nel paranormale si avvicinavano al suo perimetro infiltrandosi anche all’interno dell’abitazione alla ricerca di segnali che potessero confermare la presenza di fantasmi od entità sempre nel periodo in cui la villa era in stato di abbandono.

La casa dalle cento finestre a Modena

Illustrazione villa posseduta Foto di Enrique Meseguer da Pixabay

Le leggende sulla Villa Bentivoglio.

Non è solo una la leggenda che riguarda questa casa ma sono tre.

Leggenda delle cento finestre.

Una leggenda afferma che è impossibile ancora oggi riuscire a contare le cento finestre della villa, anche tentando più volte non è possibile riuscire a contarne cento.

La leggenda del fantasma che ride

Nel 1962 una ragazza sedicenne figlia dei Bentivoglio è stata investita da un auto di una nota casa costruttrice del modenese che in quel momento transitava ad alta velocità uccidendola sul colpo. Il padre fece seppellire la figlia all’interno del giardino della villa. Alcune notti secondo la leggenda è possibile udire le risate ed il vocio della ragazza morta nel giardino della villa.

Il fenomeno della distorsione spazio-temporale.

La leggenda afferma che il tempo all’interno della casa sia differente con un fenomeno paranormale che si chiama distorsione spazio-temporale. Fenomeno vissuto in prima persona da una squadra di studiosi del paranormale che affermano di aver passato all’interno della villa circa cinque ore. Mentre chi si trovava all’esterno e li attendeva afferma che in realtà la squadra è rimasta all’interno dell’abitazione molto meno tempo solo pochi minuti.

Curiosità:

Ad oggi la villa è stata restaurata ed adibita ad uffici.

Approfondimenti:

Di seguito visita la sezione del sito sul paranomale

Il Basilisco serpente mitologico mortale

Il Basilisco serpente mitologico mortale

Il Re dei serpenti o Basilisco è un serpente non tanto grande, di circa venti centimetri di lunghezza ma estremamente pericoloso e mortale per l’uomo.

Il Basilisco è una creatura della mitologia sia europea che greca. In molte valli italiane è noto come Re dei Serpenti.

Secondo la leggenda il Basilisco può incenerire con lo sguardo la sua vittima oppure può ucciderla con il suo fatale veleno o il suo alito mortale. Come altre figure mitologiche è in grado di pietrificare chi lo guarda dritto negli occhi. Il Basilisco al suo passaggio lascia una distesa di piante seccate sia dal suo sguardo che dal suo semplice passaggio.

Il Basilisco serpente mitologico mortale

Come uccidere un Basilisco:

Il Basilisco può esclusivamente essere ucciso da una donnola, dal canto di un gallo oppure guardando il suo stesso sguardo riflesso in uno specchio. Chi colpisce il Basilisco ed entra in contatto con il suo sangue velenoso va incontro a morte certa.

A partire dal Medioevo, dove il Basilisco era noto come Re dei Serpenti, questi animali erano dotati di un alito e morso velenoso e mortale ma si sono trasformati nella loro immagine. Il Basilisco è diventato con il passare del tempo sempre più grande e temibile, simile ad un drago, in grado anche di sputare fuoco.

Nel dodicesimo secolo si diceva che il basilisco nasceva dall’accoppiamento tra due galli oppure tra due rospi. In seguito a queste dicerie il Basilisco iniziò ad assumere le fattezze di un gallo.

Infatti è anche descritto come una sorta di drago alato con testa di gallo.

Rappresentazione di un Basilisco Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay

Vi erano però persone, anche illustri come Alberto Magno, filosofo e teologo, che mettevano in dubbio la natura del Basilisco, tra cui la pericolosità e la strana nascita.

I galli, affermava Alberto Magno, non fanno le uova, improbabile che una qualsiasi creatura possa nascere in questo modo.

Il Basilisco in Italia.

In Italia il Basilisco è noto nelle leggende popolari in Piemonte come il re dei Biss o Baselesc. Anche altre regioni italiane hanno figure simili al Re dei Serpenti nelle loro montagne. Ad esempio Puglia, Veneto e Campania hanno un Basilisco come simbolo di alcune loro città.

Ad esempio a Valsesia, Civiasco, in provincia di Vercelli è festeggiata questa figura mitologica “Nella notte del Re di Biss“. Si tratta di una festa paesana con cibo e festeggiamenti.

Fonte immagine anteprima articolo:

Foto di JL G da Pixabay

Curiosità:

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I divertimenti nel dopolavoro medievale slavo-russo

I divertimenti nel dopolavoro medievale slavo-russo

© 2021 di Aldo C. Marturano

La voce di donna era certamente udibile nell’assemblea del popolo (ve?e) per diritto a G. Novgorod e nell’islamica Bulgar-sul-Volga, ma nell’ambiente ebraico dei càzari circolavano ammonimenti contrari in proposito.

Rav Jose ben Johanan di Gerusalemme nella Mishna, Avot I 5 era stato chiaro:

«La tua dimora sia spalancata, siano i poveri i tuoi amici di casa e non parlare troppo con una donna. I saggi lo hanno scritto delle loro donne e ciò vale anche di più per la donna del tuo prossimo. Da tutto ciò dicevano i saggi: Ogni uomo che parla molto con una donna, attira guai su di sé e cessa di studiare le parole della Torà e alla fine eredita un posto fra i dannati

L’analfabetismo dei credenti, maschi e femmine, era inoltre auspicato dalla chiesa cristiana che riservava lettura e scrittura solo ai testi ecclesiali e perciò solo al personale autorizzato.

Ma nel cuore della Rus di Kiev e in centri importanti come Polozk, Kiev o G. Novgorod l’analfabetismo al femminile non si verificò del tutto e tanto meno lungo il litorale del Mar Nero o nel mondo islamico.

Non solo!

Le amorose corrispondenze scritte su scorza di betulla (berjòsty) c’erano e qualcuna ve l’ho mostrata, benché si contino sulle dita d’una mano quelle ritrovate dagli archeologi sull’argomento amoroso.

E la voce femminile non si esprimeva al meglio nel canto ammaliatore e nella danza che parlava col suo corpo?

La tradizione folcloristica

Purtroppo quanto al canto medievale russo non ho trovato abbastanza.

La tradizione folcloristica e la letteratura popolare hanno lasciato numerosi testi che per il contenuto dovevano per forza essere cantati da cori di donne spesso coadiuvate da una solista.

Dalle fonti musulmane inoltre ho riscontrato che fra le schiave a Cordova o a Rayy (Teheran), le slave erano apprezzate più di altre nei servizi canori.

Ciò ci dice qualcosa a riguardo?

I divertimenti nel dopolavoro medievale slavo-russo

Esaminando il canto maschile di cui ci sono tracce nella cultura orale si può ipotizzare che le dichiarazioni d’amore sotto forma di serenate erano ammesse e cantate da gruppi di musicanti e ciò specialmente a G. Novgorod. La città internazionale e più emancipata da ogni punto di vista.

Non solo! I canti maschili (forse è meglio dire le cantilene) servivano soprattutto a raccontare il passato attraverso versi e ritornelli allo scopo di consolidare in questa maniera le tradizioni.

Quasi nulla ho trovato invece sull’impiego di castrati-cantori presso le chiese o i conventi slavo-russi. Sebbene il mercato degli schiavi esportati dalla Pianura Russa fosse pieno di ragazzi di slava provenienza presso i “castratoi” di Samarcanda, ad esempio.

L’unica notizia che ho a riguardo è (P.O. Scholz, 2001) che, nell’ambito del lavoro missionario a Smolensk, nel 1137 si stabilì un certo Manuel Castratus di provenienza occidentale con la sua compagnia di voci per insegnare canto ai giovani nella cattedrale di ?ernigov.

I nomadi delle steppe amavano il canto dei loro maschi e lo sfruttavano con gli stessi scopi amorosi fin qui accennati. Salvo che maggiormente indulgevano in testi lascivi e ammiccanti per solleticare il desiderio delle loro donne che rivedevano dopo mesi di solitario pascolo.

Comunque non son riuscito a capire se i popoli turcofoni usassero le voci di cantori-castrati o di bambini appena puberi in occasione delle solennità sacre e se le ragazze e le anziane si esibissero in canti e danze orgiastici.

Ho registrato invece che con il rylei, una chitarra orizzontale da suonare accovacciati amata e diffusa fin sul Don, i capiclan dell’etnia turcofona kazaka si facevano intonare canzoni d’amore mentre erano in compagnia dell’amante di turno, maschio o femmina. Pare a proposito che il suonatore-cantore era più apprezzato se fosse stato cieco!

Lo stumento musicale drumla o drymba

Lo strumento che gli svedesi dicevano eccitasse al massimo gli ascoltatori maschi e perciò amatissimo e suonato dalle donne, era la drumla o drymba. O come era chiamato a G. Novgorod, il vargan (dal greco organon o strumento sessuale in gergo)ossia il marranzano o scacciapensieri (sic!).

Bellezza tatara col vargan in un reenactment, 2017. . Immagine concessa da Aldo C.Marturano

Lo strumento è di provenienza centro-asiatica (in tataro è il kubyz) o, anzi meglio, di origine zingaresca con una vaga forma fallica. Penso pure che, uditi i vari suoni che poteva produrre, era usato in città per parlare d’amore da lontano a chi naturalmente sapesse riconoscere i suoni… più meno come il cinguettio degli uccelli in amore!

Lo si fa ancora in Siberia fra innamorati …

A volte il vargan è chiamato lo strumento degli ebrei forse perché era usato da Càzari mercanti per scambiarsi appunto notizie e appuntamenti.

I divertimenti nel dopolavoro medievale slavo-russo

Nominavo l’etnia zingara, i Roma, poiché nel Medioevo Russo sono gli unici ammirati musici e attori di strada (skomorohi). Non essendoci altre scuole a cui accedere per imparare canto e danza per insufficienza di monasteri e conventi femminili, ad esempio.

L’apporto culturale dei Roma è tardivo giacché nella Pianura Russa compaiono nel tardo XIII sec. accodati ai Tataro-mongoli dopo aver lasciato la loro sede persiana e dove erano chiamati Liuli o Luri.

Purtroppo per quanto riguarda canto e canti d’amore da loro propagati posso scrivere ben poco, se non che nei ritornelli di molte canzoni popolari si sente ripetere la parola ljuli/luli che, guarda caso, è giusto l’etnonimo detto poc’anzi.

Aggiungo però che c’è una sospetta consonanza con una divinità molto popolare fra gli slavo-russi, Ljolja, che, come i balto-slavi per Lada, si credeva attizzasse la passione nel fare all’amore.

Tuttavia per il ruolo pagano dell’arte cantoria degli zingari devo rammentare che la chiesa raccomandava di non frequentarli, gli zingari. E raccomandava in nessun caso nemmeno d’ascoltare i loro canti e le loro storie oscene!

In cambio il cristianesimo slavo-russo incoraggiava le famiglie più abbienti a investire nella costruzione di conventi femminili nella Rus di Kiev. Dove alle giovani pagane si sarebbero insegnati i cori inneggianti al dio cristiano. Ma come ho scritto altrove, furono pochi i conventi fino al XV sec. cioè col potere moscovita.

Certo è che i repertori popolari circolanti rimasero a lungo lascivi e ammiccanti come si immaginavano i suoni vocali delle ninfe ammaliatrici della selva (vily, rusalki).

Le danze, divertimenti in voga tra ragazze e ragazzi.

Quanto alle danze (pljaski), i divertimenti più in voga fra le ragazze e i ragazzi, lo schema era solitamente in gruppi di sole donne e/o di soli uomini che ballavano in circolo. Se possibile ballavano intorno a un albero magico come il melo, mentre la musica andava con l’accompagnamento vocale e con battiti di mano ritmati dai tamburelli degli astanti.

Nessuna meraviglia che nelle danze in circolo – i horovody, oggi presentati come tipo di danze folcloristiche e nazionali – si cantassero storie di imprese sessuali degli eroi dei tempi andati e nello stile dei movimenti erotici erano abbastanza ripetitive.

Per le danzatrici erano previsti o la quasi nudità o abiti semplici. Ossia camicioni assolutamente bianchi lunghi fino alle ginocchia che nelle piroette che nelle giravolte lasciavano intravvedere le bellezze corporee intime senza scandalo.

I circoli danzanti spesso erano due ed erano formati da maschi e da femmine che volteggiavano l’uno accanto all’altro fino a scontrarsi, glutei con glutei.

Dopodiché ci si lasciava andare in duetti erotici per il diletto degli astanti e le ragazze fuggivano inseguite dai ragazzi. Era uso che si formassero le coppie acchiappandosi per i genitali o per le mammelle e facendosi acchiappare poi copulassero sul posto. Le danze più sfrenate erano quelle delle feste nuziali, perezvy, che il maestro di festa, družko, dirigeva con solennità.

Seguo qui l’etnografo M. Dikarev (repr. 2020) che le descrive aventi un carattere eminentemente fallico.

Il mio autore cita anche la haljandra degli zingari (cigany) per i gesti insoliti in cui i danzatori e le danzatrici si tengono non per le mani ma per le orecchie, i maschi le femmine, e per gli organi genitali, le femmine i maschi. Al ritmo dei tamburelli saltano mentre si sculacciano l’un l’altra.

I divertimenti nel dopolavoro medievale slavo-russo

La danza e il sacrificio.

I horovody nascevano da usi e divertimenti vecchissimi fra cui quello di preparare la persona scelta, un maschio, al sacrificio cruento.

Ebbro/a di droghe e vacillante, la prevista vittima veniva dapprima caricata di ogni bruttura compiuta nel mir urlandogli accuse atroci affinché facesse bene la sua parte di placare ogni eventuale ira degli dèi (a mo’ di capro espiatorio). Poi era interrogato sul futuro. Finalmente si intonavano i canti e iniziavano le danze.

Le danze che col loro frastuono avrebbero smorzato i lamenti e le eventuali grida del sacrificando nel momento culminante del suo olocausto. In tal modo il sacrificio si mutava in gioia per tutti…. Giacché in tal modo gli dèi si erano ormai placati! Spesso il coro che accompagnava i riti era composto da vedove o comunque da donne non più in cerca di uomini con cui amoreggiare. Essendo la partecipazione ai horovody interdetta spesse volte alle madri.

Le danze dei varjaghi

Danze più spettacolari e più movimentate erano quelle eseguite dai varjaghi.

Quando arrivavano nei mercati mostravano la forza fisica dei giovani armigeri e la loro abilità nel maneggiare le armi mentre allo stesso tempo dipinti di nero con maschere spaventose ammiccavano alle spettatrici attirandole a danzare in mezzo a loro…

Le danze “militaresche” erano amatissime dalle genti del Caucaso poiché richiedevano un esercizio muscolare intenso per i salti e i contorcimenti ritmati del corpo con addosso un costume da guerra con spada e stivali. Le ragazze vi partecipavano volentieri da cantanti immobili con l’obbligo di essere a piedi nudi e per la maggior parte del tempo erano circondate dai vorticanti maschi.

Né mancavano solisti e campioni di salto e di piroetta. Costoro, facendo ruotare le ragazze nelle gonne colorate e con gli scialli enormi e variopinti sulla testa, ne mostravano le intimità.

La ridottissima antologia qui da me qui inclusa delle danze in cerchio è da assimilare probabilmente al tipo di danze greche. Queste danze sono dette kordax. E sono dedicate a Artemide Kordaka dalle mille mammelle che implicavano anche il denudarsi delle ballerine con movimenti erotici che invitavano i maschi per la copula sacra (ierogamìa).

Non essendo io però un musicologo, lascio ad altri specialisti descrivere tempi e coreografie (v. T. Naryškina 2014 et al.).

A parte ciò, non sono riuscito a confermare una moda che in Occidente nel Medioevo era talvolta apprezzata nel vestire delle donne. Cioè che la mammella destra, seppur coperta, era quasi sempre messa in maggior risalto con tessuti abbastanza diafani rispetto a quella sinistra.

I divertimenti nel dopolavoro medievale slavo-russo

Non solo!

Per i nomadi turcofoni detti Cumani dai mercanti genovesi del Mar Nero e Polovcy dagli slavo-russi (in russo: dai capelli color paglia di segale ossia rossicci) le mammelle erano un segno di femminilità importante. Infatti le loro donne sono ritratte nelle sculture con i seni liberi in vista (v. figura).

Sculture donne dei nomadi turcofoni. Immagine concessa da Aldo C.Marturano

Naturalmente non posso che concludere scrivendo che per l’autorità religiosa cristiana, una volta entrata a gamba tesa nella Pianura Russa, tutto ciò che concerneva danze, canti e suoni erano opere del demonio. Opere che perciò andavano cancellate e al più presto sostituite dalle pie teatralità cristiane!

© 2021 di Aldo C. Marturano

L’amore romantico ideale di vita cristiana

L’amore romantico ideale di vita cristiana

Sono questi, IX-X sec. gli anni in cui si cominciò a teorizzare letteralmente che cosa fosse l’amore. La parola stessa amor per le lingue romanze compare per la prima volta nel Giuramento di Strasburgo nel 842!

Con le sue definizioni Aristotele, il più noto dei filosofi greci antichi, arriverà attraverso la Persia musulmana in Europa nel XII-XII sec. e Platone, almeno attraverso Plotino alessandrino, sarà in circolazione nel mondo mediterraneo già per il buon servizio che rende alle idee delle comunità ebraiche.

Così più o meno sono presenti le teorie di Galeno e Ippocrate. E qui ho da fare delle differenze.

Per gli antichi “medici” l’interesse maggiore era per l’organo sessuale maschile nel suo uso per fare all’amore, in primo luogo dal punto di vista dell’igiene.

Diventava perciò basilare la scelta della partner femminile, considerando la donna uno strumento per sopire l’urgenza del momento senza alcun sentimento amoroso profondo.

Fra i sapienti si arrivava perciò a discutere oltre la copula eterosessuale e si chiamava amore quello che nasceva e si coltivava nelle consorterie maschili di vario tipo dove le donne non erano ammesse.

Qui si formavano vere coppie che dividevano e costruivano una vita insieme con tutta una serie di intimità reciproche. Intimità fatte di sguardi, di ammiccamenti e di progetti comuni su un piano di estrema parità anche sul piano del fare all’amore. Questo era il vero amore… Almeno finché pederastia e omosessualità resistettero nei costumi della tradizione greco-romana!

Un cuore a puzzle Foto di PIRO4D da Pixabay

L’autore Abu Muhammad Ibn-Hazm

Quanto al Medioevo, il più antico autore europeo che osi affrontare l’argomento amore sui vari piani del comportamento sessuale, è il musulmano Abu Muhammad Ibn-Hazm (Cordova, 994-1064). Egli nel suo famoso Collare della Colomba teorizza in particolare come la copula eterosessuale possa avere l’esito felice di complessi processi analoghi a quelli che producono amori e copule omosessuali.

In entrambi i casi non v’è alcunché di peccaminoso di fronte al dio creatore.

L’amore ideale.

Ed ecco la sua definizione, peraltro ben sperimentata dall’autore stesso, dell’amore ideale:

«Circa l’essenza dell’amore, si è discusso con varie opinioni e a lungo. Il mio parere è che si tratti un’unione tra le parti delle anime, divise in questo mondo creato entro il comune loro alto elemento fondamentale […]

Noi sappiamo che il segreto del mescolarsi e rifuggirsi delle creature sta nei principi dell’unione e della separazione, che il simile cerca sempre il suo simile e in esso si adagia,. E che l’affinità di genere ha un’efficacia sensibile e una constatata influenza che l’inconciliabilità degli opposti,. L’armonia degli uguali e il tendere l’un verso l’altro dei simili sono cose che hanno luogo fra noi.

(Dal Collare della Colomba o in arabo Tawq al-Hamama v. in bibl. testo italiano 2006)»

La cultura amorosa europea

Di qui, leggendo bene, inizia una cultura amorosa europea del tutto incerta sui legami che potrebbero seguire ad una copula più piacevole di altre e che suscita i cosiddetti sentimenti d’amore.

Anzi, si continuerà a teorizzare e si culminerà nel cosiddetto amore cortese o romantico in auge oggi. Fu esportato e imposto dai colonialisti europei in ogni angolo del pianeta. Pur senza le modifiche concettuali apportate dalla Rivoluzione Francese (1789) che predicò l’amore libero, come un modernismo in tutto il mondo oltre che in Europa.

Scrive infatti lo storico dell’amore J.-P. Poly (2003):

«L’amor cortese non liberava le donne dell’Occidente, [ma] era un compromesso storico. L’impronta della loro antica [femminile] dominanza sulla loro novella dipendenza.

Questa dipendenza, grazie ad esso [amor cortese] sotto la forma totale in cui con 3-4 secoli d’anticipo i più maschilisti degli uomini avevano voluto instaurarla. [Con l’espediente: niente coito immediato, ma solo dopo la dovuta corte] sarebbe finita per restare incompiuta

L’amore romantico ideale di vita cristiana

Andrebbero fissati termini e definizioni.

Ma odio tale espediente perché fermerebbe nel tempo realtà che non sono esattamente note e prive perciò di concretezza.

Il mito dell’amore eterno che gli antropologi preferiscono chiamare amore romantico fu standardizzato comunque alla fine del Medioevo. E fu collocato nella nuova ondata dei costumi cavallereschi adottati dai nobili e dai potenti locali dell’Europa cattolica. Nell’Occidente sedicente cristianizzato l’idea era che fra gli amori di vario genere c’era quello che prescindeva dalla copula immediata da quella obbligatoria e indispensabile per sigillare un patto.

In breve, se la copula o amore carnale era un atto peccaminoso, si poteva soprassedere ad essa e amare la donna come oggetto-premio idealizzato da conquistare, struggendosi per lei e soffrendo di non vederla e di non poterla avere vicina in vista.

Occorrerà un paio di secoli (fine del 1200) perché si verifichi la spontanea volontà della donna a concedersi all’amante. Ciò tuttavia sarebbe la fine dell’amor cortese che invece per definizione poetica non si dovrebbe mai esaurire.

Espressioni d’amore cortese?

Doni e parole piacevoli e accattivanti allorché trionfante lui porgeva i trofei vinti nei tornei per lei!

Persino tramite abili servitori prezzolati il cavaliere dimostrava la sua passione indirizzando all’amata poesie, canzoni e missive appassionate.

Il coito come premio auspicato, non era però preteso, ma concesso pur col rischio di peccare di lussuria o di adulterio. Sono questi già tratti più avanzati dell’amore romantico. Giacché, come dicevo poche righe fa, l’analisi particolareggiata di Ibn-Hazm farà breccia nella vicina Terra d’Oc.

Qui il duca d’Aquitania, Guglielmo IX, si sentirà incoraggiato a circondarsi di pensatori e poeti che sanno come incantare il sesso femminile. E si affermerà che la donna è incline alla copula concedendo i favori del corpo in maniera ottimale… Se la si sa corteggiare.

La chiesa cattolica dapprima fu assai critica su tali tipi di sollecitazioni influenzate dai costumi sessuali musulmani. La chiesa avrebbe voluto invece controllare interamente nell’ambito della “famiglia monogamica naturale”. Ma col tempo vi si adeguò.

L’amore romantico ideale di vita cristiana

Ammise l’amore romantico purché si concludesse con il “santo matrimonio” nell’ambito della famiglia cristiana con tutti gli ammennicoli prescritti. Fra cui, punto importantissimo, fissare il luogo di lavoro per il resto della vita e pagare l’obolo a san Pietro.

Questo bagaglio di cultura amorosa fu esportato come modello universale di pratica sessuale durante il colonialismo.

Fu inaugurato in grande stile dalla Spagna nel XV sec. dopo aver cacciato via i musulmani. Seguita nella politica imperialistica da altri imperi cristiani: francese e inglese, proclamò a gran voce nel mondo che la famiglia cristiana era per legge divina la base naturale della civiltà superiore europea.

A proposito della famiglia monogamica naturale va aggiunto che nelle società fortemente maschiliste (e forse meglio misogine come quella cristiana) alla donna non è riconosciuta alcuna parità di sentimenti amorosi sofisticati. Data la di lei natura “mentale” inferiore e peggio che mai le si doveva permettere di condividere o discutere i piani e le idee del maschio consorte.

Le affermazioni di Sant’Agostino

L’autorevole sant’Agostino affermava, con i suoi trascorsi in questioni di donne: 

«Non vedo a che scopo il creatore ha formato la donna se non a quello di procreare […] un aiuto, ma quale? Se l’uomo avesse avuto bisogno d’un sostegno [per lavorare o per consigliarsi], sarebbe stato più utile un altro uomo.

Lo stesso possiamo dire per una compagnia nella solitudine. Quanto è molto più gradevole la coabitazione di due amici rispetto a quella di un uomo con una donna…» 

Con queste parole la conclusione unica possibile era che, se era impossibile vietare e proibire la copula, almeno servisse a tenere insieme due persone occupate nell’attività primaria della loro vita.

a) per la genitrice di accrescere il numero dei credenti

b) per il genitore di educare i bambini maschi a difendere la famiglia cristiana.

E non aveva detto più o meno la stessa cosa il teorico massimo cristiano dell’amor di coppia, Clemente alessandrino, qualche secolo prima di sant’Agostino?

I sentimenti fondamentali amorosi.

Certo, per la famiglia cristiana, i cosiddetti sentimenti amorosi fondamentali da rispettare erano la promessa di vivere insieme e di copulare come e quando prescritto abbandonando ogni tradizione peccaminosa come l’adulterio o l’incesto.

La filosofia cristiana è chiara:

I gruppi umani non sono sanciti dalla chiesa se vanno oltre la coppia. Perché gruppi con un numero maggiore di membri maschi favoriscono e nascondono accordi per rivolte e sedizioni contro il potere sovrano concesso dal creatore!

La famiglia naturale cosiddetta è costituita, lo ripeto, da due consorti ed è il massimo raggruppamento ammissibile alla benedizione divina. Non solo!

Ai due partners è prescritto il reciproco piacere nell’uso dei rispettivi corpi in tutti i campi perché diventano una sola persona – una sola carne! – e per la società cristiana è il consorte maschio a proclamarlo, data l’inferiorità sociale e mentale della femmina.

Spiegare ciò alla gente pagana fu un compito ingrato e la conclusione fu che il dio cristiano benedicesse la copula solo se i due partners ne godevano entrambi e contemporaneamente.

Anzi, leggendo E. Le Roy Ladurie (1998) nella sua Storia di un paese, Montaillou ossia dai protocolli dell’Inquisizone del XIII sec. in Francia, la rea di adulterio, Grazide, non si sentiva in colpa né in peccato a copulare col parroco locale poiché costui con lei godeva e Grazide pure.

Al contrario quando copulava col consorte legittimo il godimento era nullo.

Altrettanto avveniva spesso nei villaggi pagani della Pianura Russa, ma in nessuna relazione con un reato/colpa per adulterio, visto anche che di adulterio se ne parla pochissimo nelle fonti cristiane del luogo.

L’amore romantico ideale di vita cristiana © 2021 di Aldo C. Marturano

Approfondimenti:

Di seguito l’articolo:

Scienza e amore un mistero di intense sensazioni.

Il sentimento amoroso ci affascina ancora col suo mistero ricco di intense sensazioni e non riuscire ad avvolgere col pensiero che cosa esso sia realmente. Resta un campo da esplorare senza tregua.

Curiosità:

Visita la sezione del sito sui misteri tra cui l’amore.